di Loris Prandi
In F1 certe interviste vuote oggi imperanti cominciavano a prender piede già quando all’inizio degli anni ’90, rispondendo ad una domanda su John Barnard (il grande progettista inglese che ingaggiato dalla Ferrari aveva ottenuto di poter lavorare in gran parte in patria), Michele Alboreto mi disse “A far le macchine al telefono si fanno disastri”. In quella frase c’era tutta la schiettezza del pilota milanese. Aveva già lasciato il Cavallino, con cui aveva conteso il titolo mondiale a Prost, ed era ancora autentico e alla mano.
Gli anni a Maranello, che lo avevano reso un idolo delle folle, non lo avevano cambiato. “Albo” fu l’ultimo italiano (oltre che il primo dopo molti anni) scelto personalmente da Enzo Ferrari, dopo essere stato lanciato in F1 da quel vecchio volpone di Ken Tyrrell. Qualche anno dopo quell’intervista lasciò la F1, ma non il volante. Vinse la mitica 24 ore di Le Mans, dove doveva tornare quando morì in un incidente al Lausitzring, esattamente vent’ anni or sono.