La cancel culture (cultura della cancellazione) arriva dagli Stati Uniti, ma è ovunque. Le proteste sociali e razziali hanno spinto al limite il “politicamente corretto”. Statue di Cristoforo Colombo abbattute, perché colonialiste. Serie TV come "Friends" criticate per i protagonisti troppo bianchi e troppo poco gay. Teste di moro tolte dagli scaffali, perché razziste. Biancaneve immorale, perché il bacio non è consenziente. La Disney che si scusa, perché Dumbo, Peter Pan e altri film contengono - citiamo - "rappresentazioni negative o insulti verso persone o culture”. E molto altro.
Così la scorsa estate 150 personalità (tra filosofi, scrittori e via dicendo) hanno scritto una lettera sul mensile newyorkese Harper’s dicendo - in sintesi - che è diventato "troppo normale" punire chi si esprime (o si è espresso in passato) senza considerare i principi di uguaglianza e di inclusione. In effetti, la cultura della cancellazione ha fatto diverse vittime, portando a boicottaggi, licenziamenti e linciaggi mediatici.
Michele Serra: "Manca una capacità di lettura"
Ieri sera la rubrica Il Faro del Telegiornale ha intervistato sul tema il noto giornalista e scrittore italiano Michele Serra che avverte sulle insidie di come viene applicato questo tipo di scrupolo di correttezza, che potrebbe creare altre forme di discriminazione o censura. "In linea di principio è giusto che questo accada (il politicamente corretto, ndr.), ma sono le applicazioni di questo tipo di premura che preoccupano", sottolinea Serra che aggiunge: "Il concetto di contesto sta sparendo: si legge un testo e non si riesce più a contestualizzarlo, ognuno interpreta il messaggio secondo la sua propria suscettibilità".
Il tema in Italia è stato recentemente protagonista del dibattito pubblico e se ne sono occupati anche il fumettista Zerocalcare, con una storia dedicata su un numero del settimanale Internazionale, e la scrittrice Guia Soncini, che ha dedicato alla questione il libro "L’era della suscettibilità".
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