I salari non stanno tenendo il passo con l'inflazione e nel 2022 il potere d'acquisto dei dipendenti si è ridotto sensibilmente, segnando il peggiore arretramento da 80 anni a questa parte. È il quadro che emerge da un'analisi di UBS, secondo la quale però a lungo termine la carenza di forza lavoro farà "certamente" aumentare le retribuzioni reali.
Stando all'inchiesta sul tema condotta dalla grande banca, l'anno prossimo gli stipendi saliranno del 2,1% in media, il maggiore incremento da quasi 15 anni e valore ben più elevato rispetto agli accordi sulle remunerazioni di quest'anno, che hanno segnato un +1,1%. Solo l'8% delle 290 imprese intervistate nell'ambito di un sondaggio (che ha visto coinvolte anche associazioni di salariati e di datori di lavoro) non ha proceduto a ritocchi nella busta paga quest'anno e tale "quota" dovrebbe dimezzarsi nel 2023.
A livello settoriale, gli aumenti previsti per l'anno prossimo vanno dal +3,0% di commercio all'ingrosso, informatica e industria orologiera al +2,0% di commercio al dettaglio, media, sanità, edilizia ed industria energetica. Il settore pubblico dovrebbe vedere le retribuzioni lievitare del 2,4%. Il prossimo anno l'inflazione presumibilmente tornerà a diminuire, "ma se si attesterà come prevediamo al 2,1%, i salari reali nel 2023 registreranno una stagnazione, piuttosto che un aumento, e non riusciranno a compensare la perdita di potere d'acquisto", scrivono gli specialisti di UBS.