L'obiettivo della COP27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in corso a Sharm el Sheikh (Egitto), è quello di contenere il riscaldamento climatico ad un massimo di un grado e mezzo. Ma è un obiettivo ancora realistico? E cosa significherebbe per il pianeta mancare questo obiettivo? Domande che abbiamo posto a Sonia Seneviratne, professoressa di climatologia al Politecnico federale di Zurigo e coautrice di diversi rapporti del gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici:
Professoressa Seneviratne, lei figurava tra gli invitati alla Cop27 in Egitto, ma ha preferito partecipare a distanza, in maniera virtuale. Non sembra essere molto fiduciosa...
“Sì, purtroppo in questi tipi di incontri la voce della scienza trova poco spazio. Questa almeno è stata la mia esperienza alla conferenza di Glasgow un anno fa. Al contrario invece c'erano molti rappresentanti della lobby del petrolio, che secondo un articolo della BBC era addirittura la “delegazione” più numerosa. Questo è un altro aspetto che mi fa dubitare che ci si riesca davvero ad accordare su un cambiamento. È vero, dalla conferenza di Parigi nel 2015 è emerso un accordo importante, ma da allora non si è riusciti a proseguire con lo stesso slancio”.
L'obiettivo - e lo ha ribadito anche nel suo discorso il consigliere federale Ignazio Cassis - rimane quello di limitare il riscaldamento globale a un grado e mezzo. Lei da scienziata lo ritiene ancora realistico?
“Diciamo che certamente questo obiettivo va mantenuto, ma bisogna anche dotarsi dei mezzi per raggiungerlo. Ciò significa dimezzare le nostre emissioni di gas serra entro il 2050. Al momento gli impegni presi dai Paesi non vanno in questa direzione. Nemmeno in Svizzera. Il controprogetto all'iniziativa sui ghiacciai, per esempio, non è ancora stato approvato ed è stato lanciato un referendum. Se davvero si prendessero adesso decisioni coraggiose per ridurre le emissioni in tutto il mondo l'obiettivo di un grado e mezzo potrebbe ancora essere raggiunto. Dal punto di vista fisico è possibile, ma ci vogliono decisioni politiche”.
Perché questa differenza apparentemente minima tra 1,5 e 2 gradi è così decisiva?
“Prima di tutto bisogna capire che il riscaldamento regionale è ben più elevato di quello globale: in Svizzera è di circa il doppio. Inoltre, aumenta il rischio di raggiungere delle soglie critiche, ad esempio per lo scioglimento dei ghiacciai artici e antartici, ciò che provocherebbe un grande innalzamento dei mari, cancellando dalla carta alcuni Paesi. Esistono poi dei punti di svolta nel sistema climatico, che innescherebbero aumenti esponenziali degli eventi climatici. Gli studi dicono che con un riscaldamento di 1,5 gradi è improbabile che si raggiungano questi punti di svolta, ma il rischio aumenterebbe notevolmente avvicinandosi ai 2 gradi”.
Ma Lei si aspetta qualche passo avanti da questa conferenza?
“Difficile dirlo, ma quantomeno la presidenza egiziana ha insistito molto affinché si trovi un accordo su un sistema che indennizzi i Paesi più esposti ai disastri climatici. Forse su questo si prenderà una decisione, ciò che potrebbe spingere i paesi più industrializzati a voler ridurre le emissioni, perché potrebbe costar loro caro”.
Il fatto di dover trovare un accordo tra tutti gli Stati presenti rende però il tutto molto più difficile...
“È vero, la necessità di un consenso è un grosso limite di queste conferenze. Un singolo Stato può bloccare i negoziati. Ma si potrebbero anche immaginare accordi tra gruppi di Paesi, indipendentemente dai risultati della COP. Per esempio, una sorta di club climatico dei paesi più ambiziosi potrebbe fissare propri obiettivi e mezzi per raggiungerli. Questo potrebbe forse avvenire a margine della COP”.
E in un simile sistema quale ruolo potrebbe avere la Svizzera?
“La Svizzera ha una tradizione diplomatica importante. Al contempo però è difficile per la Confederazione pensare di dirigere una parte dei negoziati, perché non siamo per nulla un paese esemplare. I nostri obiettivi al momento non sono in linea con l’obiettivo di 1,5 gradi. È difficile voler impartire lezioni, quando noi stessi non facciamo quello che andrebbe fatto per rispettare l’accordo di Parigi”.
SEIDISERA del 08.11.2022: Seconda giornata di dichiarazioni alla COP