Conferma che lo spyware più conosciuto del mondo continua a essere venduto ai governi, ma solo – precisa – “a quelli con valori occidentali”. Yaron Shohat, CEO della società di spionaggio informatico “NSO Group”, riconosce che gli utilizzatori di questo programma “potrebbero farne un uso diverso da quello per cui è stato creato”.
È noto che lo abbiano già fatto: nel 2021 un’inchiesta giornalistica internazionale svelò l’uso del malware “Pegasus” da parte di alcuni governi – tra cui Arabia Saudita, Kazakistan, India, Ungheria – anche per spiare giornalisti, attivisti e politici.
Alla cellula di inchieste RSI, Shohat ammette: “È vero che in passato qualcuno ha affermato che questi programmi siano stati usati per altri scopi, anche se noi lo vendiamo con l’unico obiettivo di combattere terrorismo e criminalità”.
Lugano per la sua prima volta in Svizzera
Quando gli chiediamo se “Pegasus” venga tuttora commercializzato dall’azienda di cui ha assunto la guida lo scorso agosto - dopo gli scandali legati a quell’inchiesta – risponde che NSO Group “sviluppa per i nostri clienti, esclusivamente agenzie governative, strumenti che permettono loro di raccogliere intelligence per combattere terrorismo e crimine”. Questi clienti, aggiunge Shohat, sono paesi “soprattutto nell’Europa occidentale”.
Alla RSI spiega che è arrivato da Tel Aviv per partecipare alle iniziative promosse dalla sezione ticinese dell’associazione “Svizzera-Israele” per celebrare i 75 anni di relazioni e amicizia tra i due paesi.
NSO Group è tuttora inserita nella “black list” del Dipartimento del commercio degli Stati Uniti. L’azienda figura tra gli sponsor dell’evento organizzato domenica, dalla stessa associazione “Svizzera-Israele” presso l’Hotel Splendide di Lugano, con la presenza di esponenti di diversi partiti politici, della società civile e del mondo imprenditoriale.
Lunedi scorso, Shohat ha preso parte a una tavola rotonda a porte chiuse, organizzata dalla stessa associazione “Svizzera-Israele” insieme all'Università della Svizzera Italiana nella sede di Lugano. In città e nel Canton Ticino sono attive diverse aziende nel settore della cybersicurezza. “Abbiamo incontrato società molto interessanti e spero ci sia la possibilità di cooperare e creare relazioni con aziende locali” dice ancora Shohat.
Un "impegno" per evitare che il programma finisca "nelle mani sbagliate"
Shohat sta cercando di dare un volto nuovo all’azienda, il cui brand resta indissolubilmente legato allo vicenda “Pegasus”. Ma cosa sta facendo concretamente il nuovo CEO per evitare che accadano ancora operazioni di spionaggio contro attivisti, giornalisti o politici? “Ogni volta che c’è il sospetto di un uso irregolare, noi investighiamo in modo serio. E in qualche caso, quando è accertato, abbiamo sospeso il programma e interrotto il contratto. Questo lo abbiamo fatto più volte” afferma.
Shohat precisa che NSO Group non avrebbe accesso ai contenuti di intelligence dei governi che acquistano “Pegasus”. E ribadisce l’impegno a una “due diligence” sui clienti per impedire che il programma finisca “nelle mani sbagliate”. Dichiarazioni di intenti, per ora. Ma nemmeno lui sembra poter avere la certezza che “Pegasus” non sia usato – di nuovo – in modo improprio o scorretto: “È vero, non posso essere sicuro al 100%. Ma ribadisco l’impegno a fare tutto il possibile: quando c’è il sospetto di un uso improprio, verifichiamo e prendiamo tutte le misure adeguate per bloccarlo”.