Cronaca

Il ritorno a casa di Mandela

L’estremo saluto all’uomo che ha fatto, del Sudafrica, uno Stato democratico, nella testimonianza di Franca Hunziker Verda che lo incontrò più volte

  • 15 dicembre 2013, 16:25
  • 6 settembre 2023, 05:01
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Il carro funebre con le spoglie mortali di Nelson Mandela, nel suo viaggio verso il villaggio natale di Qunu

  • KEYSTONE

Oggi, domenica 15 dicembre 2013, Nelson Rolihlahla Mandela torna a casa fra le sue colline del Transkei. Qui trascorse l’infanzia in una famiglia contadina del popolo Khosa, discendente però da una stirpe reale. Forse fu questo a conferirgli il carisma che lo portò a essere un leader.

Ho seguito le vicende sudafricane per il TG dalle elezioni del 1989 che portarono alla vittoria l’ultimo presidente afrikaner, Frederik de Klerk: da uomo pragmatico che vedeva la morsa delle sanzioni sempre più stretta, seppe aprire il dialogo con Nelson Mandela, fino alla liberazione incondizionata del nemico numero uno del regime razzista e alle storiche elezioni dell’aprile 1994. Un percorso lungo e complesso che testimonia la saggezza di due uomini che tutto divideva, ma che la ragione e l’intelligenza politica hanno riunito, vedendoli insieme insigniti del premio Nobel della pace nel 1993.

Alcune immagini sono per me indelebili:
...11 febbraio 1990, ore 16:14. Da oltre un’ora conducevo la diretta in attesa che Mandela varcasse finalmente la soglia della prigione Victor-Vester di Paarl , vicino a Città del Capo. Le telecamere del mondo intero sono puntate sul cancello del perimetro carcerario. Fuori centinaia di persone inneggiano al loro eroe che vedranno per la prima volta, dopo 27 anni di prigione, avanzare pugno alzato e mano nella mano con la moglie Winnie.
…5 minuti, poi via in auto verso il Capo per il primo discorso dal balcone del Municipio. La città è paralizzata, calca e tafferugli fanno temere il peggio anche per la sua incolumità. Ricordo un momento di esitazione: Mandela aveva dimenticato in prigione gli occhiali, Winnie gli tende i suoi per leggere quel primo memorabile discorso. Subito dà la stura a quella che sarebbe stata la sua azione politica: ottenere quel che già aveva proclamato al processo di RIVONIA terminatosi con l’ergastolo nel giugno 1964 per lui e i suoi 7 compagni di lotta: né dominazione bianca, né dominazione nera, ma una democrazia eletta su basi non razziali, “ideali per i quali ho sempre lottato, per i quali voglio vivere, ma per i quali sono pronto a morire.”
Da quel giorno Mandela riprende la sua lotta con l’obiettivo di portare pacificamente il suo paese alla democrazia e alla riconciliazione nazionale, consapevole dell’incombente pericolo di una guerra civile.

9 giugno 1990, Ginevra. Primo periplo in Europa da uomo libero. È in quell’occasione che ho modo di incontrarlo la prima volta, di fargli una breve intervista “rubata” infilandomi nella fila dei leader dei movimenti di liberazione venuti a rendergli omaggio e di ottenere- con mia grande emozione- una dedica sulla sua autobiografia.
Negli anni che precedono la sua elezione a presidente nell’aprile 1994, Mandela non cessa di costruire ponti, di tessere relazioni, di gettare le basi per garantire al Sudafrica il sostegno della comunità internazionale. Prioritario è però costruire il consenso interno, non tanto quello scontato della comunità nera (anche se le rivalità, soprattutto con gli Zulù, armati segretamente da Pretoria in funzione anti-ANC, non mancano), ma quello dei bianchi.

Tappa esemplare e fondamentale sarà la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (TRC) presieduta dal premio Nobel della pace Desmond Tutu, con cui si elaborano i momenti più bui dell’apartheid.

Infine, l’immagine forte del Sudafrica di Mandela: le migliaia di cittadini neri, disciplinati, in file chilometriche e silenziose, dall’alba al tramonto sotto il sole, per votare una prima volta nella loro vita e liberarsi dall’oppressione.

È il 24 aprile 1994. Sono passati vent’anni. Un’immagine bella e commovente che si è ripetuta in questi giorni davanti alle spoglie di questo eroe africano e che riassume l’amore, il rispetto e la gratitudine di un popolo per il suo Tata Madiba, ma anche i timori, legittimi, che la sua definitiva scomparsa suscita.

Franca Verda Hunziker

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