Svizzera

Per l'atomo è tempo di un "giusto processo"

Ad affermarlo è un esperto che sostiene la necessità del nucleare per la transizione energetica, e sottolinea il potenziale della Svizzera - L'INTERVISTA

  • 20 ottobre 2022, 06:48
  • 24 giugno 2023, 00:37
Una veduta della centrale nucleare di Gösgen

Una veduta della centrale nucleare di Gösgen

  • archivio keystone

In che misura il nucleare può ancora essere una soluzione per le necessità energetiche? I rischi sono davvero superiori ai vantaggi? E che ruolo può avere questa energia in un contesto che appare ormai orientato verso le fonti rinnovabili?

Sono domande sempre più ricorrenti nel momento in cui, con l'inverno alle porte, la continuità degli approvvigionamenti energetici risulta tutt'altro che garantita. Da un lato la guerra in Ucraina, con i suoi pesanti effetti sul fronte delle forniture di gas, ha evidenziato una volta di più una dipendenza dalle energie fossili che resta globalmente marcata. Dall'altro, però, c'è una transizione verso le energie rinnovabili che si sta rivelando più irta di ostacoli rispetto al previsto. In questo contesto, così ricco di incognite, l'opzione del nucleare torna così a suscitare interesse, ma anche inquietudini. E non potrebbe essere altrimenti, trascorsi poco più di 10 anni da un evento, epocale, come quello di Fukushima.

I limiti delle rinnovabili

Proviamo allora a fare il punto, e in termini rigorosamente scientifici. Luca Romano, fisico di formazione e saggista, è ormai da tempo una personalità emergente nella divulgazione scientifica e anche nei social. Decise alcuni anni fa di occuparsi segnatamente del nucleare "quando si iniziò ad assumere una seria consapevolezza del riscaldamento globale" e della necessità di limitare le emissioni di gas serra. Ma come procedere, allora, sul terreno della transizione energetica? Per questo esperto, la conclusione è univoca: realizzarla solo con le fonti rinnovabili, come il solare e l'eolico, non è possibile. "Ho iniziato a leggere un po' di dati, un po' di numeri, a guardare alle soluzioni possibili" per poi giungere alla conclusione che "le soluzioni possibili senza il nucleare diventano molte di meno, se non proprio nulle".

Luca Romano, laureato in fisica teorica all'Università di Torino, si è in seguito specializzato con un master anche nel giornalismo scientifico

Luca Romano, laureato in fisica teorica all'Università di Torino, si è in seguito specializzato con un master anche nel giornalismo scientifico

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Romano si definisce quindi "avvocato dell'atomo" - titolo anche di un suo libro pubblicato pochi mesi fa - poiché rivendica per il nucleare quello che definisce un "giusto processo": parlando cioè dei rischi, ma anche delle potenzialità, e cercando soprattutto di affrontare convinzioni e luoghi comuni che, pur non trovando riscontro a livello scientifico, sono sempre assai radicati. Dell'impatto emotivo di Fukushima, e prima ancora di Chernobyl, abbiamo detto. Ma cosa innesca, più in generale, tante istintive avversioni verso l'energia atomica? "Istintivamente il nucleare viene associato all'ambito militare, alle bombe e quant'altro", osserva, ritenendo che "soprattutto per le generazioni più anziane, ci sia ancora un po' l'eredità della Guerra fredda, la paura del conflitto nucleare che" di primo acchito suscita timori. Va poi considerata, per il nucleare, quella che è "una naturale diffidenza verso le tecnologie complesse". Di converso sono invece le tecnologie più semplici a suscitare "immediatamente maggiore fiducia".

Di atomo e di "falsi miti"

Sono così sorti diversi "falsi miti" che derivano "essenzialmente da una mancanza di confronti con altre fonti energetiche". Si enfatizzano ad esempio gli incidenti nucleari, ma "non si vanno a guardare disastri idroelettrici, chimici o petroliferi che ci sono stati" e con conseguenze severissime. Si sottolinea il problema delle scorie nucleari, ma non si considerano "i rifiuti tossici che vengono generati in quantità molto superiori da tutte le altre industrie". Più di recente, inoltre, si sostiene da più direzioni che il nucleare sarebbe comunque una soluzione troppo lenta e onerosa per reggere il passo della transizione energetica. Ma anche qui, afferma l'esperto, si registra un "falso mito". L'energia nucleare "ha indubbiamente un costo del capitale elevato" che tuttavia "non si traduce necessariamente in un costo elevato dell'energia", perché ha dei "costi operativi più bassi". I tempi per l'implementazione degli impianti sono certamente più lunghi rispetto a quelli per le rinnovabili. Fonti come il solare e l'eolico, però, non sono certo programmabili con continuità 24 ore su 24. Qui il nucleare va quindi "a fare qualcosa che le rinnovabili non riescono a fare". Ed esistono Paesi, sottolinea, che "nel giro di vent'anni hanno decarbonizzato la propria economia con il nucleare, mentre con le rinnovabili questo, finora, non si è verificato".

Il complesso della centrale di Fukushima, colpito nel 2011 dal terremoto e dallo tsunami, qui in una ripresa aerea di 7 anni fa

Il complesso della centrale di Fukushima, devastato dal terremoto e dallo tsunami del 2011, qui in una ripresa aerea di 7 anni fa

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L'incidente di Fukushima, osserviamo, ha comunque segnato uno spartiacque nella percezione del nucleare da parte dell'opinione pubblica... Ma "l'impatto psicologico sull'Occidente", replica Romano, "è stato molto più devastante dell'impatto reale sulla salute pubblica dei giapponesi". In questo senso va insomma fatta una distinzione: secondo i protocolli di sicurezza si è indubbiamente trattato di un incidente "fra i più gravi possibili, poiché c'è stata la fusione del nocciolo di 3 reattori e una diffusione di radiazioni all'esterno dell'impianto"; ma dal punto di vista dell'impatto ambientale e della salute pubblica, è stato un apposito comitato scientifico delle Nazioni Unite a fornire, a distanza di anni, conclusioni rassicuranti. "Non ci saranno conseguenze sulla salute delle persone", né effetti "a lungo termine sull'ambiente". Attualmente,poi, "la zona dal punto di vista ambientale è perfettamente sana", afferma Romano, sottolineando i riscontri dei "maggiori esperti del mondo che sono stati mandati lì a studiare le conseguenze dell'incidente". Con tutto ciò Fukushima ha comunque indotto una tensione al disimpegno dal nucleare, che ha condizionato per anni le scelte di numerosi Paesi, fra i quali anche la Svizzera. Col risultato che l'energia atomica è stata "in gran parte rimpiazzata da combustibili fossili che, ovviamente, causano inquinamento, emissioni climalteranti e via dicendo".

Il ritorno d'interesse

Ora però, sull'onda della crisi energetica - e anche sulla scorta di riflessioni più a mente fredda sui fatti di Fukushima - l'energia atomica torna a esercitare una certa attrattiva. Fra gli sviluppi più recenti si registra la decisione con cui, proprio a inizio settimana, la Germania ha disposto il prolungamento di attività per i 3 impianti che ancora detiene. Più in generale in Europa ci sono Stati come il Regno Unito, i Paesi Bassi, la Cechia e la Slovacchia "che avevano magari costruito dei reattori, poi si sono fermati e adesso stanno considerando di costruirne altri". C'è poi la Francia, che nelle attuali circostanze ha deciso di rilanciare il programma nucleare che già aveva e che quindi "ha annunciato nuovi reattori".

La centrale atomica tedesca di Isar: proprio negli ultimi giorni la Germania ha disposto un prolungamento delle attività per i pochi reattori nucleari ancora in funzione nel Paese

La centrale atomica tedesca di Isar: proprio negli ultimi giorni la Germania ha disposto un prolungamento dei pochi reattori nucleari ancora in funzione nel Paese

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Ma è al di fuori dall'Europa che questo rinnovato interesse fa registrare ben più fermento. "La Cina", afferma Romano, "sta costruendo fra gli 8 e i 10 reattori all'anno e anche l'India ha un massiccio programma di costruzione". Lo stesso Giappone "che dopo Fukushima aveva inizialmente spento tutto sull'onda del panico, non solo sta adesso riconsiderando e riaccendendo i vecchi reattori" che possono essere utilizzati, "ma ha annunciato che ne verranno costruiti altri" e prima del 2030. Quanto agli Stati Uniti, essi hanno stanziato dei fondi "per mantenere le centrali più vecchie in operatività". Il Canada "ha fatto lo stesso ed entrambi i Paesi stanno ora investendo tantissimo" in funzione di reattori tecnologicamente più avanzati e nell'ottica "di un rilancio del nucleare negli anni successivi"

Uno sguardo alla Svizzera

Anche in Svizzera il dibattito sul nucleare ha ripreso da tempo vigore. Sta di fatto, però, che la costruzione di nuove centrali è vietata, mentre quelle ancora in funzione (Beznau I e II, Gösgen e Leibstadt) saranno disattivate al termine del ciclo di vita degli impianti. Sono questi, del resto, i precisi vincoli della Strategia energetica 2050, che venne approvata in votazione popolare solo cinque anni fa. Ma intanto che valutazione si può dare, in un'ottica futura, agli impianti tuttora in esercizio? La premessa generale da fare, risponde Romano, è che "le centrali nucleari hanno una vita operativa molto lunga e, se vengono manutenute bene - e in Svizzera so che questo viene fatto - c'è la possibilità" di estenderla ulteriormente.

Un tecnico al lavoro all'interno del complesso nucleare di Beznau, nel canton Argovia

Un tecnico al lavoro all'interno del complesso nucleare di Beznau, nel canton Argovia

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La Confederazione, sottolinea, detiene quindi "una cultura di sicurezza nucleare di stampo europeo". È quindi "molto, molto attenta a qualsiasi dettaglio", aggiunge, citando un dato che potrebbe apparire paradossale, ma che va invece colto in chiave positiva: la Svizzera, infatti, è stata "uno dei primissimi Paesi che ha esperito una situazione di incidente nucleare con fusione del nocciolo"; accadde nel 1969 al reattore sperimentale di Lucens (VD), da anni smantellato, con cui negli anni '60 si puntava a promuovere una filiera nucleare tutta elvetica. L'incidente fu certamente serio (classificato a livello 4 sulla scala internazionale degli eventi nucleari), ma in definitiva "non provocò alcuna conseguenza né sull'ambiente esterno, né su alcuna persona". Quando si pensa ad una fusione del nocciolo, osserva l'esperto, "la si vede necessariamente come un evento catastrofico". Ma è proprio la storia svizzera a dimostrare che, in presenza di misure di sicurezza adeguate, di strutture di contenimento e di comportamenti corretti, anche "un evento estremo come una fusione si può risolvere senza alcun danno per persone o cose".

Scorie: le reali dimensioni del problema

La Svizzera ha inoltre "dimostrato di saper anche gestire il problema dei rifiuti radioattivi", aggiunge Romano, riferendosi alla recente localizzazione di un sito definitivo di stoccaggio nella regione di Lägern nord, fra i cantoni di Argovia e Zurigo. Ma in termini più generali qual è l'impatto reale legato a queste scorie? La quantità prodotta "è pari all'incirca ad un cubo di un metro e mezzo di spigolo per reattore all'anno". Si tratta quindi di una quantità "piuttosto modesta, che per questo non presenta particolari problemi a essere gestita e stoccata", sostiene Romano, rammentando che finora, nella storia del nucleare a uso civile, non sono stati riscontrati "contaminazioni ambientali o danni alla salute dovuti a una mala gestione di rifiuti radioattivi".

Lo scorso settembre la Nagra, la società cooperativa per lo stoccaggio dei rifiuti nucleari, ha indicato la regione di Lägern nord, fra i cantoni Argovia e Zurigo, per la costruzione di un sito definitivo di immagazzinamento delle scorie

Lo scorso settembre la Nagra, la società cooperativa per lo stoccaggio dei rifiuti nucleari, ha indicato la regione di Lägern nord, fra i cantoni Argovia e Zurigo, per la costruzione di un sito definitivo di immagazzinamento delle scorie

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Molti Paesi, fra i quali appunto anche la Svizzera, "scelgono quindi di realizzare questi depositi geologici" per immagazzinare le scorie in sicurezza, come peraltro "si fa con molti altri rifiuti non radioattivi" a base di cadmio, mercurio, arsenico e via dicendo, "che si mettono sotto terra in luoghi sicuri per evitare che contaminino l'ambiente". Va quindi detto che gli sviluppi dell'industria nucleare offrono anche altre possibilità, come, ad esempio, il riprocessamento delle stesse scorie: ciò consente di estrarre dalle barre di combustibile esausto quantità di plutonio destinate a essere reimmesse nei reattori per generare nuova energia. In buona sostanza, si ricava energia dal rifiuto e quindi "a parità di energia, si riduce la quantità" di scorie.

Nucleare e nuove frontiere

La ricerca si sta intanto orientando verso soluzioni volte a rendere il nucleare più efficiente, riducendo i costi come pure la produzione di scorie, e aumentando il livello di sicurezza. Significativo, in questo senso, è il settore dei reattori modulari di piccola taglia (SMR): si punta cioè a realizzare dei piccoli impianti "che possano essere fabbricati in serie, trasportati pezzo per pezzo nel luogo di destinazione e assemblati" sul posto. Si va quindi "verso la miniaturizzazione e la serializzazione", con il vantaggio di avere tempi più veloci e benefici importanti a livello di costi, rispetto a quelli imposti dai reattori tradizionali costruiti con cantieri sui siti. Cruciale, in questo senso, è il discorso che concerne i tassi d'interesse e i tempi di rientro per gli investimenti: non va infatti dimenticato che "oggi, in realtà, il costo più importante di un impianto nucleare non è neanche quello di costruzione, ma proprio il costo del finanziamento, il costo del denaro", sottolinea l'esperto.

La rappresentazione grafica di un progetto di reattore modulare di piccola taglia

La rappresentazione grafica di un progetto di reattore modulare di piccola taglia

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Vi è quindi tutto il versante che concerne la cosiddetta "quarta generazione" dei reattori. "Qui vi sono sei linee di ricerca, anche se quelle promettenti sono tre, forse quattro", osserva in proposito Romano. "Vi è il filone di ricerca sui metalli liquidi", sfruttati come fluidi refrigeranti, "che si divide in sodio e piombo". E i reattori al sodio sono "già attivi in Russia e in via di attivazione in Cina". C'è quindi un filone di ricerca che concerne reattori a gas ad alta temperatura, con impianti "già attivi in Cina e in costruzione negli Stati Uniti". E infine va citato il comparto che concerne reattori con refrigerazione a sali fusi: esso però comprende per ora solo "un piccolo prototipo in Cina, ma da pochissimi megawatt".

C'è, insomma, un intero universo di sviluppo che sta sempre più emergendo. Ma quale contributo potrebbe fornire in questo senso la Svizzera? C'è "sicuramente un potenziale molto elevato, perché la Svizzera è un Paese propenso all'innovazione tecnologica", afferma Romano, sottolineando l'eccellenza a livello internazionale dei Politecnici di Zurigo e Losanna e il fatto che ha sede proprio in Svizzera il CERN, il Centro europeo per la ricerca nucleare. La cultura scientifica elvetica avrebbe quindi "molto da offrire all'industria nucleare, e viceversa". Attualmente ci sono precisi limiti legati alla Strategia energetica. Ma per Romano non si può escludere che in futuro il popolo possa essere nuovamente chiamato a pronunciarsi, sia alla luce delle mutate condizioni geopolitiche, sia in considerazione degli sviluppi dell'industria nucleare e anche perché "sta emergendo, a mio parere abbastanza con chiarezza, che il modello rinnovabile al 100% non è così sostenibile e non è così facilmente realizzabile", come invece i suoi proponenti avevano ritenuto.

Alex Ricordi

00:24

Notiziario delle 21.00 del 17.10.2022

RSI Info 17.10.2022, 23:30

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