I maltrattamenti ai danni di bambini, in base alle statistiche diffuse proprio negli scorsi giorni, sono aumentati nel 2023 in Svizzera nella misura dell’11%. Cosa si può osservare circa l’incidenza del fenomeno a livello regionale? L’Istituto Pediatrico della Svizzera italiana rientra fra le 19 cliniche elvetiche chiamate a segnalare questi maltrattamenti. Un primo dato potrebbe condurre a conclusioni affrettate. C’è stato in effetti un calo dei casi annunciati in ospedale. Ma se si considerano le “segnalazioni fatte in altre istituzioni” sul territorio, “a questo punto anche noi possiamo vedere effettivamente un aumento del tipo di segnalazioni”, spiega Pierluigi Brazzola, viceprimario di pediatria presso l’Istituto.
E infatti, se nel 2023 i casi ospedalieri sono stati una trentina, dalle scuole sono arrivate centinaia di segnalazioni. L’aumento va quindi inquadrato alla luce di due fattori. Uno, osserva Brazzola, è dato da “segnalazioni di negligenza” ai danni di bambini, che “sono effettivamente aumentate”: si pensi a situazioni come l’assenteismo scolastico e al non offrire un’alimentazione adeguata. L’altro fattore concerne invece le segnalazioni di bambini “che sono stati testimoni di violenza domestica”: una casistica che solo da 2-3 anni “viene repertoriata in maniera particolare”. E questo ha fatto sì che “anche a livello svizzero le cifre siano aumentate”.
Due bambini, lo scorso anno, hanno perso la vita in Svizzera a seguito di maltrattamenti. A sud delle Alpi, invece, non si registrano da 10 anni decessi infantili causati da violenza. Ma per scongiurare eventi simili in avvenire la guardia va tenuta alta e la prevenzione assume in questo senso un’importanza cruciale. Come agire, però, in relazione a vittime che proprio non possono parlare, e che sono i neonati? Nei loro casi le possibili situazioni sono ancora più delicate da decifrare e da gestire. E a rendersi conto che qualcosa non va sono segnatamente le levatrici: con la nascita di una nuova famiglia gli equilibri cambiano, non mancano le difficoltà ed emergono segnali d’allarme che questa categoria professionale è chiamata a cogliere in situazioni di forte stress emotivo.
Maltrattamenti: il ruolo delle levatrici
Il Quotidiano 30.04.2024, 19:00
Fondamentale è in questo senso l’osservazione del benessere della mamma. Osservando quindi “come sta la mamma a livello psicologico e di stanchezza”, è possibile cominciare a inquadrare situazioni più vulnerabili e “con un rischio aumentato di eventuale violenza”, spiega la levatrice Francesca Frigerio, citando una serie di possibili segnali premonitori: la mamma può diventare insofferente ai bisogni del bambino o trovarsi in difficoltà col figlio che piange molto. Altri segnali, più tardivi, possono emergere dall’osservazione di bimbo che risulta meno curato sotto l’aspetto fisico. Ma ciò che va verificato subito “è come sta la mamma. E cerchiamo di agire da lì”.
Una volta realizzato che qualcosa effettivamente non va, si agisce per gradi. Nella maggior parte delle situazioni “la relazione di fiducia che si instaura nel tempo” consente alle levatrici di essere anche molto dirette con le madri: richiamando quindi la loro attenzione sul fatto che appaiono molto stanche, in difficoltà. Si può quindi cercare di attivare con loro un sostegno psicologico, oppure “chiedere al ginecologo che ha seguito la donna in gravidanza un secondo parere”. A quel punto è lo specialista a proporre una tipologia di sostegno.
Un sostegno che può consentire di fermare una possibile situazione di pericolo prima che sia troppo tardi, come nei casi di maltrattamenti. “Chiedere aiuto”, per una madre in difficoltà, “è sempre difficile”. Ma una volta evidenziate le difficoltà, e astenendosi dal formulare giudizi, “il sostegno viene solitamente accolto”. Ci sono però, precisa Frigerio, situazioni “estremamente vulnerabili” all’interno delle quali “c’è difficoltà anche ad accettare l’aiuto”: si pensi in particolare alle depressioni post-parto, che possono “sfociare in una violenza su un bambino”. È qualcosa, sottolinea, che può “succedere a chiunque” e che “non è da imputare solo a delle situazioni sociali difficili”.