Una famiglia di rifugiati eritrea è stata prelevata giovedì all’alba dal centro di accoglienza di Cadro e rimpatriata con la forza, come ha appreso la RSI. La madre con i due figli, un bimbo di un anno e mezzo e la sorella maggiore - che soffre di crisi epilettiche, accusa un ritardo mentale ed è costretta su una sedia a rotelle - sono stati accompagnati all’aeroporto di Zurigo e poi su un volo per Brindisi. Le cure alla bimba non possono essere interrotte, ma questo l’Italia non potrebbe garantirlo.
"Una volta atterrati, la madre si deve attivare per richiedere asilo e poi attendere l’accesso alle cure mediche per la figlia. Ma questo, come è scritto nei rapporti medici, può essere un grave rischio per la sua salute", ha spiegato Immacolata Iglio Rezzonico, avvocata della Fondazione Azione Posti Liberi. La legale chiede alla Segreteria di Stato della migrazione, che ordina i rimpatri, di riesaminare il caso e punta il dito contro la polizia cantonale, per i modi in cui lo ha messo in pratica. "Da quello che so la signora non ha nemmeno avuto la possibilità di cambiare la bambina né di preparare le valigie. La chiamerei quasi una deportazione", ha detto.
Il Dipartimento delle istituzioni ticinese, da noi contattato, ribadisce che le decisioni sui rimpatri sono esclusivamente a carico della Confederazione e assicura che il Cantone l’ha eseguita prendendo le misure adeguate, "come sempre di fronte a casi ritenuti delicati", cercando quindi di evitare l’aggravarsi del trauma. Anche la polizia ci ha risposto affermando di aver agito in base alle procedure standard, le quali prevedono pure, "in casi particolari e dopo aver intrapreso tutti i passi necessari per evitarlo", l’utilizzo nella piena legalità di mezzi coercitivi appropriati.
Questo sarebbe solo l’ultimo (ma l'unico eseguito) ordine di rimpatrio di famiglie di rifugiati che avrebbero il diritto di rimanere in Ticino. Sarebbero infatti sei i casi di presunte violazioni della carta dei diritti fondamentale. Tanti sono infatti i dossier sulla scrivania dello studio legale luganese, che accusa la Confederazione di violare i diritti umani in nome del trattato di Dublino.