Hannah Arendt
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Dossier: Hannah Arendt (3./5)

La concezione arendtiana della politica

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Di: Cristina Artoni 

Nel 1961 Hannah Arendt andò a seguire a Gerusalemme come corrispondente del The New Yorker il processo contro Adolf Eichmann (uno dei comandanti delle SS responsabili dell’organizzazione della cosiddetta “soluzione finale”,) e scrisse per la prima volta della «banalità del male». Ne ricavò poi un libro uscito negli Stati Uniti nel 1963 e in Italia nel 1964, pubblicato da Feltrinelli, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, che scatenò polemiche violentissime. Sono passati 60 anni da quel libro che, insieme agli altri scritti della Arendt, rappresenta uno dei pilastri del pensiero del Ventesimo secolo, con ancora una grande attualità.

Hannah Arendt arriva alla politica, alla consapevolezza della politica, nel 1933, anno in cui Hitler arriva al potere in Germania. Di cosa prende consapevolezza in quel momento storico? L’esperienza del totalitarismo costituisce certamente lo sfondo della sua teoria e delle sue riflessioni. Fin dalla pubblicazione de Le origini del totalitarismo (1951), i suoi saggi hanno attirato e creato controversie molto intense. Nostra ospite Beatrice Magni, professoressa associata presso il Dipartimento di Studi sociali e politici dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna Filosofia politica, Bioetica e Teorie dell’uguaglianza e diritti.

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