Nel 1961 Hannah Arendt andò a seguire a Gerusalemme come corrispondente del The New Yorker il processo contro Adolf Eichmann (uno dei comandanti delle SS responsabili dell’organizzazione della cosiddetta “soluzione finale”,) e scrisse per la prima volta della «banalità del male». Ne ricavò poi un libro uscito negli Stati Uniti nel 1963 e in Italia nel 1964, pubblicato da Feltrinelli, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, che scatenò polemiche violentissime. Sono passati 60 anni da quel libro che, insieme agli altri scritti della Arendt, rappresenta uno dei pilastri del pensiero del Ventesimo secolo, con ancora una grande attualità.
Come si indaga e si racconta il male? È la domanda che attraversa il romanzo-inchiesta Il carnefice del giornalista Antonio Iovane, pubblicato da Mondadori. Nel suo libro Iovane cerca di restituire la complessità di un personaggio come il capitano delle SS Erich Priebke, fra i responsabili del massacro delle Fosse Ardeatine. Con Antonio Iovane concludiamo il dossier dedicato ad Hannah Arendt, a sessant’anni di distanza dalla pubblicazione in italiano de La banalità del male.
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