Domenica in scena

Faustina

uno spirito inquieto all’ombra di Goethe

Gilberto Isella (Ti-Press)

Domenica 18 ottobre 2020 ore 17:35

Originale Radiofonico di Gilberto Isella

Con: Margherita Coldesina, Mario Cei, Massimo Loreto, Antonio Ballerio, Jasmine Laurenti, Massimiliano Zampetti

Tecnico del suono: Yuri Ruspini

Regia: Massimiliano Zampetti

Produzione: Francesca Giorzi

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  • Faustina

    Domenica in scena 18.10.2020, 19:35

Non pochi scrittori contemporanei si sono ispirati ai miti classici, consapevoli che ogni mito è serbatoio di energie inesauribili: vedi Joyce alle prese con l’Ulisse omerico. Nel mio piccolo, ho scelto di confrontarmi liberamente con il Faust di Goethe, privilegiandone il celebre Prologo. Questo capolavoro poliedrico, dove vita cosmica e terrena si intrecciano, va anche ritenuto il poema inaugurale dell’era moderna. Vi cogliamo sul nascere quella volontà di potenza destinata a generare, nel mondo occidentale, conflitti e lacerazioni d’ogni sorta. Quesiti sull’essere umano che si ripresenteranno, malgrado il contesto mutato, nel mondo odierno.

Faustina – inquieta come il suo prototipo maschile - è una donna che si interroga sul senso della propria vita, e al contempo un’attrice in cerca d’identità. Attaccamento alla terra e tensione verso una meta superiore se ne contendono l’animo. Convergono in lei, sopraffacendosi a vicenda, le figure di Faust e Mefistofele, qui nominato il Tentatore. Sulla creatura diabolica, deferita a una voce esterna, si proiettano le fantasticherie negative di Faustina, mentre quelle positive trovano forse spunto nella prima battuta del copione goethiano: “Vi avvicinate ancora, mutevoli figure apparse in gioventù”. La parola monologante, sulla quale s’impernia l’azione intera, alterna il ricordo di stagioni trascorse a un presente già rivolto verso un futuro idealizzato ma insidioso. Il testo chiama in causa l’introvabile “terra di mezzo”, né finzione scenica né realtà, lasciando in sospeso la vicenda.

Avevo già scritto per il teatro, ma mai un radiodramma. Mi si sono dunque posti problemi nuovi, concernenti il rapporto tra parola e scena. Come tradurre, all’occorrenza, la vista in ascolto, garantendo al pubblico una percezione soddisfacente degli oggetti e dei gesti? Come far brillare uno specchio, illuminare una pianticella, dar concretezza a una smorfia di disgusto? Pensavo all’inizio di utilizzare una voce off in funzione didascalica. Me ne ha dissuaso l’esperto regista Massimiliano Zampetti, che ringrazio per i suoi preziosi consigli. In sintesi: ogni elemento visivo deve tradursi in voce. Trattandosi di un quasi-monologo, la voce poteva essere solo quella dell’ottima interprete Margherita Coldesina.

Gilberto Isella

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