Se lo sapesse, Erik Satie forse commenterebbe con una delle sue battute irresistibili, o magari si offenderebbe, oppure riderebbe a crepapelle o chissà cos’altro. Fatto sta che, giusto cento anni fa, Erik Alfred Leslie Satie è passato a miglior vita. E per varie ragioni viene da pensare che le commemorazioni o le ricorrenze in generale non gli fossero molto simpatiche.
Però ben venga il centenario se vedrà moltiplicarsi le uscite discografiche delle sue composizioni. Satie, beninteso, da Vexations alle Musiques d’ameublement, ci ha lasciato anche pagine di cui - se non per il gusto del paradosso o del bizzarro (attitudine che tuttavia faremmo sempre bene a tenere in esercizio) - non si sente certo la mancanza, quel tipo di languore che magari ci spinge a riascoltarci per l’ennesima volta le Mazurke di Chopin. Ma l’album che gli dedica Alain Planès, pianista e interprete a denominazione di origine controllata del primo Novecento francese, è un piccolo gioiello: un programma curiosamente impaginato, che ci racconta Satie nell’arco di un trentennio, dal diciannovenne già anticonformista, al maître à penser delle avanguardie.
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