Il 9 marzo 2020, a seguito dei primi casi di Covid 19 registrati a fine febbraio in Lombardia e Veneto, l’Italia chiude e fermerà le sue attività, tranne i servizi essenziali, per sessantanove giorni. Molti li hanno paragonati a una galera, molti hanno scoperti se stessi, altri hanno fatto il pane in casa. Qualcuno ha posto delle domande, a distanza, senza sapere come andrà a finire la storia.
Cosa succede al nostro corpo quando un evento imprevisto mette a rischio i più semplici gesti di contatto col mondo e una serie di indicazioni sempre più stringenti gli impongono l’isolamento entro le mura e dai balconi, per chi li ha?
Indecisi sul nome da dare alla quotidianità incerta del 2020, caratterizzata dalla pandemia da nuovo coronavirus Sars Cov 2, ci siamo rivolti al teatro e a chi lo ama per costruire insieme un percorso di comprensione possibile e perché proprio nel teatro chiuso in Italia per decreti governativi il corpo si mette da sempre in gioco e sperimenta forme di libertà. Anche se il teatro è in un carcere.
“Mi piace il teatro perché è in piccolo un’idea di comunità”. Il drammaturgo e regista teatrale Armando Punzo lavora da più di trent’anni nel carcere di Volterra, Toscana, con la Compagnia della Fortezza, da lui fondata nel 1988.
A lui il filo della riflessione sui limiti e le possibilità del corpo costretto e sugli spazi di libertà da conquistare a prescindere da geografie, architetture e abitudini. A patto di rimanere curiosi verso la vita che spunta da tutte le parti, nonostante chiusure, limiti, nostalgie. A patto di non nascondere la realtà, sul palco e fuori palco, come racconta Andrea Martella, che sul movimento e il contatto fra i corpi ha costruito il suo approccio di attore e regista dadaista.
E tu, che sei in ascolto e stai leggendo il testo, accarezzi questo tempo o ne soffri le nuove maniere? Riesci a muoverti a corpo libero, nonostante tutto?
Ideazione, scrittura, regia di Alessia Rapone
Musiche originali e post produzione di Sergio De Vito
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