“Ma poi, finita la guerra, che fa una fabbrica d’armi? Come la riconverti?”
La domanda che sembra lontana o sconosciuta a molti, per fatti di cronaca recenti resta attuale e auspicabile se significa la fine del conflitto o la riflessione sulle conseguenze economiche e umane.
Il Villaggio Breda a Roma è quanto rimane nella storia cittadina del più grande complesso industriale fondato a Milano nel 1866 da Ernesto Breda, la “Società Italiana per Costruzioni Meccaniche” (SIEB). Milano era la sede della direzione centrale e del reparto costruzione macchine industriali, in altre città la SIEB era attiva, fra gli altri, nei settori navali, aeronautici, ferroviari. Le sezioni VI e VII di Brescia e Roma erano fabbriche d’armi. Nel periodo fra le due guerre mondiali la costruzione del nuovo stabilimento in una zona distante dal centro di Roma imponeva di provvedere ad alloggi vicino al posto di lavoro: il 27 maggio 1939 Mussolini visita i reparti e posa la prima pietra del Villaggio destinato ai lavoratori della Breda.
Al Villaggio Breda si respira aria di pace: gli ultimi conflitti si limitano a faccende di cromoterapia con l’Azienda territoriale per l'edilizia residenziale del Comune (ATER) che decide di far pitturare le facciate delle case popolari di nuovi colori e l’opposizione del Comitato di quartiere che, coinvolgendo la Commissione della Sovrintendenza Capitolina delle Belle Arti, riesce a ottenere una riqualificazione che non dimentichi il giallo originario che sa di terra dell’agro romano né gli interventi più urgenti da fare alle strade e nelle case.
Sono nostalgici gli abitanti di questo quartiere storico della “città fuori le mura”, borgo operaio lungo la via Casilina nella periferia Est di Roma, rimasto intatto nel tempo: camminare tra le sue vie progettate con ordine e ascoltare i fatti di oggi riannodati alle abitudini di ieri è un colpo d’occhio e d’orecchio. Quanto resterà ancora intatto mentre il mondo fuori lentamente ma inesorabilmente entra con le nuove assegnazione degli alloggi, con la realtà che prova altri colori, con la necessità dei giovani di uscire una volta diventati adulti?
Il documentario non può dare risposte, abbiamo fatto domande e ascoltato le generose voci di chi ha parlato, e cantato!, davanti al registratore: Stella, Alessandro, Virgilio, Massimo, Bruno, Stefano, Marcello. A loro un sincero grazie e l’augurio per tutti noi in ascolto di non smettere mai di camminare nella realtà, proprio come fece negli anni Sessanta con i ragazzi di zona Jean Coste, sacerdote archeologo rimasto nella memoria di chi scelse di camminare insieme.
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