La narrazione della tragica divisione tedesca si è concentrata su Berlino, così che i cento chilometri di Cortina di Ferro lungo la sponda orientale dell'Elba sono stati dimenticati. Qui, lontano dai riflettori, nella solitaria e remota provincia contadina, trent'anni fa i reclusi del comunismo hanno tirato giù con i vecchi trattori la barriera di ferro a maglie strette e a prova di dita di bambino, sono saliti su ferry di fortuna, attraversato il fiume e abbracciato i fratelli occidentali. Era un confine feroce quello che correva tra Neauhaus in Bassa Sassonia e Stresow in Brandeburgo: era un'area off limits, un corridoio ritagliato entro cinquecento metri dall'argine destro, protetto da check point; all'interno non c'erano scuole superiori, i viveri arrivavano una volta in settimana, non erano ammessi ospiti oltre il primo grado di parentela. Una prigione nella prigione. Marzio G. Mian ha incontrato i testimoni, che raccontano le deportazioni da parte della Stasi, avvenute fino al 1975, i villaggi spesso rasi al suolo. Ma anche i fuggitivi sopravvissuti, perché lungo il "muro liquido" dell'Elba in molti tentavano l'evasione dalla DDR e sfidavano le motovedette dei Vopos: furono 49 i morti, affogati o sparati. Tuttavia, l'euforia degli anni della riunificazione sono un ricordo, oggi l'Elba è tornato a dividere due mondi. In trent'anni tra la sponda Ovest e quella Est non si sono messi d'accordo per costruirvi un ponte, si viaggia con piccoli ferry, ultima corsa alle nove di sera. Tra le due rive si vive, si pensa e si vota diversamente. Gli stipendi a Est sono molto più bassi, i giovani se ne vanno. Divari che generano disillusione, stereotipi e nostalgia. Così che l'Elba non ha mai smesso di essere un confine: già Konrad Adenauer quando andava in treno a Berlino, passato il fiume tirava le tendine, diceva che non voleva vedere la steppa.
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