“La mia vita di magistrato è finita il 2 aprile 1985”. È toccante il racconto di
Carlo Palermo che ricorda oggi l’attentato a cui scampò insieme ai quattro uomini della scorta ma che costò la vita a una madre e ai suoi due figli. Il magistrato doveva morire. Le sue inchieste su un imponente traffico di stupefacenti erano troppo scomode. E la mafia schiacciò il pulsante una mattina qualsiasi a Pizzolungo, in provincia di Trapani. Da quel giorno molte vite sono state distrutte. Una mamma e i suoi gemellini sono morti, la loro famiglia devastata ma anche chi è sopravvissuto alla strage non è più lo stesso di prima. Chi è sopravvissuto ha pagato un carissimo prezzo e porta segni indelebili nell’animo e nel corpo. Carlo Palermo lasciò la magistratura e convive con un enorme senso di colpa. Gli agenti di scorta, tra cui
Antonino Ruggirello e
Salvatore La Porta, furono declassati e dimenticati dalle istituzioni.
Margherita Asta, l’altra figlia della donna uccisa e che all’epoca aveva solo dieci anni, ha ritrovato la forza di vivere lottando contro la mafia nell’associazione “Libera”. E con i protagonisti di questa pagina di storia italiana ricordiamo che anche i sopravvissuti sono dei piccoli grandi eroi.

La strage di Pizzolungo. Come si sopravvive alla mafia
Laser 10.11.2009, 01:00
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