LASER
Giovedì 22 marzo 2018 alle 09:00
Replica alle 22:35
La bottiglia è di vetro: verde se panciuta e chiusa con un tappo di sughero fissato con fil di ferro, bianco se contenente una biglia che, sospinta verso l’alto grazie alla pressione del gas, ne chiude il collo. Il tappo rigorosamente a “macchinetta”, il design retrò, il gusto frizzante, inconfondibile. Bollicine senza alcol. Mentre rinfresca e placa la sete, emoziona e rievoca ricordi: d’infanzia, di grotti, di antiche ricette, di estati assolate, di vacanze, di bei giorni trascorsi a sud delle Alpi.
Denominata anche champagne dei poveri, la gazzosa, gazosa, gassosa o gaesosa”, un tempo era considerata un prodotto di lusso che si beveva in occasioni speciali. Oggi la si trova dappertutto, dal supermercato ai ristoranti, fra il Ticino e la valle Mesolcina, da Chiasso alla valle Leventina, e oltre il Gottardo, da Zurigo a Berna.
La bibita cristallina, trasparente o colorata, è commercializzata da diversi produttori, ognuno con la sua ricetta unica, tramandata da generazioni. Quando preparata artigianalmente la gazzosa è spesso aromatizzata alle erbe (timo, lavanda, sambuco, tiglio, salvia), e deve essere esposta al sole per realizzare naturalmente il processo di fermentazione. Nei grotti si beve nel tazzino o boccalino rosso e blu, spesso miscelata ad un buon Merlot (mèz e mèz, o lù e lè).
Simbolo di sobrietà e di salute, la gazzosa ticinese fa parte del patrimonio culinario svizzero. La tradizionale-classica? Al limone e mandarino. L’innovativa? Al lampone, mirtillo, chinotto, bergamotto, moscato.
Il documentario è stato realizzato, nell’ambito del progetto co-finanziato dalla Fondazione Svizzera per la radio e la cultura, (FRSC) “Storie e voci delle Tradizioni” ” e con la collaborazione della Fonoteca Nazionale Svizzera.