Rappresentò una pagina cruciale della storia dello stato federale elvetico. Fallì sul piano dei risultati a corto termine ma diede il la a riforme fondamentali come il voto alle donne, la creazione dell’AVS e dei contratti collettivi di lavoro, la riduzione dell’orario di lavoro, aumenti salariali e altro ancora.
Tutte novità che si concretizzarono negli anni successivi, a volte a decenni di distanza. È lo Sciopero generale del 1918, che paralizzò soprattutto la Svizzera tedesca. Qualcuno sostiene che con la discesa in campo dell’esercito si sfiorò la guerra civile.
A 100 anni da quegli eventi storici, conclusisi dopo 3 giorni di mobilitazione e fortunatamente con solo una manciata di morti, ci si interroga su quello che oggi sarebbe la Svizzera senza quel passaggio. Il movimento sindacale si è irrobustito anche se negli ultimi anni si è assistito ad un calo di adesioni. Non ovunque ma lo scemato entusiasmo in ambito sindacale sembra caratterizzare la Svizzera e molte regioni dell’intera Europa.
L’arma dello sciopero, in un paese dove vige la pace sociale ma la cui Costituzione la contempla, è ancora utilizzata. Per alcuni è un diritto, per altri un ricatto. Certo è che rispetto ad un secolo fa l’orizzonte sociale ed il mondo del lavoro si sono trasformati totalmente. Quale è la situazione dei sindacati? Cosa significa oggi sindacalismo?
Ne parliamo con
Enrico Borelli, segretario di UNIA Ticino;
Renato Ricciardi, segretario e copresidente dell’OCST;
Fabio Regazzi, consigliere nazionale e presidente dell’AITI e
lo storico Orazio Martinetti.
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