Timbrare per le “pause toilette”: siete d’accordo oppure ritenete che sia una regola esagerata e troppo severa? Ne parliamo nella puntata odierna: vi aspettiamo in diretta allo 0848 03 08 08; oppure scriveteci via Wathsapp allo 076 321 11 13.
Ci agganciamo alla notizia di ieri rivelata da un’inchiesta della RTS: per la prima volta un tribunale in Svizzera si è pronunciato sulla questione delle “pause pipì”, decidendo che far timbrare i dipendenti e scalare dal tempo di lavoro le loro pause al bagno è legale. Tutto è partito da un controllo legato alla pandemia fatto nel 2021. L’ispettorato del lavoro di Neuchâtel ha constatato che Jean Singer & Cie, che fabbrica quadranti per orologi, impone ai dipendenti di timbrare quando fanno una pausa per andare al bagno. Secondo l’ispettorato, sulla base del parere della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), questo obbligo non rispetta i principi della Legge federale sul lavoro. Nel gennaio del 2022 ha quindi chiesto alla ditta di Boudry di cambiare questa pratica e di informarlo sulle misure prese. L’azienda non è però stata d’accordo e un mese più tardi ha fatto sapere che non avrebbe dato seguito alle richieste. I toni si sono alzati e nell’aprile del 2022 l’ispettorato ha vietato per iscritto all’impresa di imporre di timbrare per andare alla toilette. Nella decisione ha precisato che “le interruzioni di lavoro legate ai bisogni fisiologici non possono essere considerate come pause” dato che non hanno come scopo il recupero. Agli occhi dell’autorità, l’obbligo di timbrare potrebbe “incitare il personale a trattenersi o non idratarsi, il che potrebbe portare a gravi problemi fisiologici”. Jean Singer & Cie si è però opposto a questa decisione con un ricorso al Dipartimento cantonale competente. Secondo la ditta la nozione di pausa si definisce come “interruzione del lavoro necessaria per ragioni fisiologiche che serve a nutrirsi, rilassarsi e permette di raccogliere le forze”, precisando che il sistema di timbratura non permette di conoscere il motivo dell’interruzione del lavoro e che l’obbligo di rispetto dell’integrità personale dei lavoratori e delle lavoratrici non è quindi violato. Gli argomenti non hanno convinto il Dipartimento, che nel gennaio 2024 ha respinto il ricorso, ritenendo che andare in bagno debba essere considerato parte dell’orario di lavoro. L’azienda ha allora deciso di portare la questione davanti alla giustizia. Una scommessa vincente: il Tribunale amministrativo cantonale neocastellano ha infatti ha infatti dato ragione all’impresa. È la prima volta in Svizzera che un tribunale si pronuncia sulla questione. Nella sentenza, la Corte rileva che “la nozione di pausa non è chiaramente definita dalla legge. Il legislatore non ha fornito una soluzione chiara in materia [...] Si tratta di una vera e propria lacuna, nel senso che il legislatore si è astenuto dal risolvere la questione quando avrebbe dovuto farlo”. C’è insomma una lacuna, un vuoto giuridico.
La domanda che sorge riguarda le donne che sarebbero discriminate. Per i giudici, la legge non vieta quindi espressamente di scalare le pause per il bagno dal tempo di lavoro. C’è però un “ma”: il tribunale ritiene che l’obbligo di timbrare discrimini appunto le donne. “Sono confrontate con il ciclo mestruale, che inizia con le mestruazioni. Questo fenomeno fisiologico richiede il rispetto di norme igieniche di base e, di conseguenza, dei passaggi più frequenti, o più lunghi, al bagno”. Il tribunale ha chiesto quindi all’azienda di mettere in atto delle misure per ridurre queste disuguaglianze. Florence Meter, consigliera di Stato responsabile del lavoro, ha preso atto della decisione, senza nascondere la sua preoccupazione: “Spero che questa sentenza non abbia un effetto a catena in altre aziende che potrebbero essere tentate di adottare queste pratiche. Sarebbe un segnale molto particolare per i dipendenti”.
Una preoccupazione condivisa dalla sindacalista Solenn Ochsner, responsabile del settore industria per Unia Neuchâtel. “Altre problematiche ci vengono segnalate regolarmente. Penso in particolare al fatto di essere cronometrati quando si va al bagno, per vedere quanto ci si mette, o di dover portare un certificato medico quando il manager o il capo ritiene che si vada alla toilette troppo spesso in una giornata di lavoro”.
Contattata, anche la SECO ha preso atto della decisione del tribunale, ma ha ribadito la sua posizione, secondo la quale “una misura che sottoponga i dipendenti al pieno controllo del loro operato all’interno dell’azienda non è di per sé compatibile con il rispetto del principio dell’integrità personale dei lavoratori”.
Intanto Swatch Group ha fatto marcia indietro. Nel quadro della sua inchiesta, RTS ha identificato tre altre imprese con sede a La Chaux-de-Fonds che obbligano i dipendenti a timbrare quando vanno al bagno. Si tratta di Sellita, Universo e Rubattel & Weyermann, che non hanno voluto rispondere alle domande della RTS. Le ultime due appartengono allo Swatch Group che, contattato, ha risposto che “questi due casi particolari e isolati non corrispondono affatto alle pratiche e alle regole del gruppo. In tutte le altre società del gruppo non è prevista la timbratura per andare in bagno. Adegueremo immediatamente la situazione di queste due unità agli standard del gruppo. Le due società in questione sono state informate”. Far timbrare, dunque, per andare al bagno è legale: dopo la decisione del Tribunale cantonale di Neuchâtel che ha dato ragione alla ditta orologiera particolarmente attenta al tempo di lavoro dei suoi dipendenti e delle sue dipendenti, voi siete favorevoli o contrari che vengano scalate le “pause toilette” del personale dal tempo di lavoro?
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