C’era una volta Internet, con la sua promessa iniziale di garantire un accesso libero e democratico alla conoscenza, alla diversità e alla pluralità delle voci e delle esperienze… Potrebbe iniziare così l’ultimo libro di Antonio Pavolini, analista dell’industria dei media e scrittore, intitolato "Stiamo sprecando Internet - la riscoperta possibile di uno spazio pubblico digitale", pubblicato ad aprile da Franco Cesati Editore. Per poi proseguire il racconto con un’occupazione di questo spazio da parte delle varie piattaforme per profilarci e per fare affari. Anche i media tradizionali, sbarcati su Internet per paura di sparire e per accaparrarsi l’attenzione del pubblico, un bene sempre più raro hanno costruito dei recinti con una selezione e una lettura delle notizie predefinite in un processo di omologazione e di appiattimento dell’informazione. La speranza che ha accompagnato i primi passi di Internet è stata così tradita dalle esigenze di business, ma non tutto è perduto, ci dice Pavolini con sguardo ottimista, perché esiste la Open Internet, quella parte della rete che è come un terreno fertile e sconfinato, dove ancora si può conoscere, imparare, sperimentare senza pagare alcun pedaggio, un po’ come quando si va alla scoperta di una parte della nostra città, che non è ancora diventata una destinazione d’uso o un luogo consumo. Spazio digitale pubblico e spazio fisico pubblico hanno molto in comune: in entrambi i casi, per una vera esplorazione si deve andare dove non si sarebbe mai andati prima. Ed è lì che Internet può riservare alcune sorprese. Perché è importante andarci è quello che si trova nel pamphlet di Antonio Pavolini, ricco di considerazioni e non rivolto solo agli addetti ai lavori, ma a quelli che si chiedono come mai Internet sia diventato così come lo conosciamo oggi.
Ne parliamo con:
Antonio Pavolini, analista dell'industria dei media, autore di "Stiamo sprecando Internet - la riscoperta possibile di uno spazio pubblico digitale", Franco Cesati Editore
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