Speciali

The Rolling Stones

Il 17 aprile del 1964 usciva il primo album della leggendaria band inglese

  • 17 aprile, 06:00
Terry O’Neill , I Rolling Stones, 1964

Terry O’Neill , I Rolling Stones, 1964

  • © Iconic Images
Di: Riccardo Bertoncelli

         Prima di incontrare George Martin e la Parlophone, è storia nota, i Beatles bussarono alla porta della Decca con una apposita audizione il 1 gennaio 1962, ma vennero clamorosamente bocciati. Dick Rowe, il capo dell’ufficio artistico, si assunse la colpa del rifiuto e qualche tempo dopo, incontrando George Harrison, si cosparse il capo di cenere. George fu indulgente. “Be’, perché piuttosto non firmi i Rolling Stones? Suonano al Railway Hotel, a Richmond, valli a sentire”. Rowe non se lo fece ripetere, andò al Railway, apprezzò e mise sotto contratto quei cinque sconosciuti, rimediando (in parte, solo in parte) al granchio di qualche mese prima.

         Per anni i Rolling Stones furono i portabandiera della Decca, nell’infuriare della battaglia beat. Crebbero un po’ per volta, non ebbero fretta, lasciando sfogare i loro amici/rivali Beatles, partiti prima, più reattivi e con il vantaggio di avere un team compositivo subito pronto, Lennon/McCartney più il produttore/consigliere George Martin. Come autori Mick Jagger e Keith Richard (così ufficialmente, la “s” sarebbe comparsa anni dopo) erano ancora nel bozzolo, forse anche pigri, e a lungo i Rolling si appoggiarono a brani altrui, cover più devote che fantasiose di pezzi blues, rock&roll, R&B, nell’immenso campo dei loro amori musicali. Tre singoli e un EP in dieci mesi furono il loro allenamento, prima che si accendesse il semaforo verde per un intero long playing: dodici brani registrati in cinque sedute al Regent Sound Studio di Londra, dal 3 gennaio al 25 febbraio 1964, pubblicati il 17 aprile 1964 in Gran Bretagna e rilanciati in America alla fine del mese dopo.

         “I Rolling Stones sono più di un semplice gruppo,” scriveva il manager Andrew Loog Oldham nelle note introduttive, “sono un modo di vivere”. Il tempo avrebbe dato ragione a quello sfrontato proclama, ma la musica di quel primo LP non reggeva l’affermazione. Era sì il fiero ritratto di una band che evitava smancerie ed esplorava con passione la dark side della musica giovane, ma non riusciva a essere originale fino in fondo. Nove dei dodici brani erano cover, scelte con grande gusto ed eseguite bene ma con occhi e orecchie rivolte al passato più che al futuro; ai tempi recenti di Carol (Chuck Berry), Can I Get A Witness (Marvin Gaye) e Walking The Dog (Rufus Thomas), agli anni ‘50 di I Just Want To Make Love To You (Willie Dixon), I Need You Baby (Bo Diddley), I’m A King Bee (Slim Harpo), e anche più indietro, se è vero che Route 66 era stata scritta da Bobby Troup nel 1946 (e portata al successo, se vogliamo, da artisti come Bing Crosby e Nat King Cole, idoli di quei “matusa” che i nuovissimi capelloni volevano spazzare via). Il giovane Jagger si impegnava con puntiglio a smorfiare i vari brani con personalità, e Charlie Watts, lui soprattutto, eccelleva con piccole invenzioni batteristiche, fidando sulla superiore cultura jazz; ma Richard e Jones erano ancora timidi nel guscio dei tre minuti di durata, così come Bill Wyman e “il sesto Rolling”, Ian Stewart, aggiunto per qualche coloritura piano/organo in quattro pezzi.

         Nel mazzo spiccavano, più per curiosità che per qualità, tre originali. Uno, Tell Me, era l’esordio assoluto della coppia Jagger/Richard; una canzone leggerina, più pop che beat blues, oggi dimenticata e all’epoca anche bastonata (“musica e testo sono Liverpool di seconda mano”, scrisse senza pietà il Melody Maker). Altre due canzoni portavano la sigla Phelge, e va spiegato che con quello pseudonimo (a volte solo Phelge, a volte Nanker Phelge) gli Stones si firmarono per anni quando la composizione era collettiva. Anche in quei casi, tutto piacevole ma niente di speciale: Little By Little era uno scolastico blues con chitarra pungente e l’appassionata armonica di Brian Jones, mentre Now I’ve Got A Witness (Little Uncle Phil And Uncle Gene) era un breve strumentale inventato sul momento che da un lato rispondeva alla Can I Get A Witness di Marvin Gaye e dall’altro rendeva omaggio a due illustri complici che avevano dato una mano in studio, Phil Spector e Gene Pitney. 

It's Only Rock'n'Roll (Parte 1)

RSI Speciali 12.07.2012, 04:00

         Ci sarebbe voluto ancora un anno prima che gli Stones uscissero bene dalla tana, con personalità e coscienza dei propri mezzi; ai tempi di Out Of Our Heads, si può dire, l’album con The Last Time, con Satisfaction. Fin dall’esordio però i ragazzi si mostravano sfrontati e sicuri di sè, tanto da decidere di non strillare in copertina né un titolo né il proprio stesso nome. Fra il vinile e i fans c’era solo una bella foto in chiaroscuro in cui i cinque apparivano azzimati e ben vestiti, a dimostrare forse che anche all’inferno (lì abitavano i Rolling, secondo l’immaginario collettivo) si può essere eleganti.

Ti potrebbe interessare