“Noi andremo via, il tempo resterà, noi non siamo nulla. Così anche la musica. Perché è la musica che resta”. Sono parole che il grande cantautore, chitarrista e compositore napoletano Pino Daniele pronunciò nel 2004 a Verona, quindici anni prima della sua scomparsa avvenuta a Roma il 4 gennaio del 2015. Si trovava nell’atelier di un liutaio. Parlava della musica come linguaggio, quasi un presagio di quanto è poi effettivamente accaduto: Pino Daniele se n’è andato per sempre, ma la sua musica è rimasta e rimarrà.
A nove anni dalla sua morte a “Voi che sapete”, spazio quotidiano che Rete Due vuole dedicato all’approfondimento di argomenti musicali affrontato con taglio giornalistico, di quell’episodio si è parlato con il percussionista Tony Esposito, che con Pino Daniele ha condiviso anni di musica e concerti, e con il regista e scrittore Giorgio Verdelli, autore di un bellissimo documentario sull’artista napoletano, dal titolo, ispirato proprio a quando avvenuto a Verona nel 2004, “Pino Daniele - Il tempo resterà”.
Pino Daniele - Il tempo resterà
Voi che sapete... 10.01.2024, 10:00
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Racconta Verdelli: “Quelle parole di Pino mi illuminarono, noi andremo via, il tempo resterà. Fu una tipica affermazione di Pino, anche un po’ controcorrente. Noi andremo via, il tempo resterà, noi non siamo nulla. Così anche la musica. Perché è la musica che resta”.
E fra la musica che è rimasta, quella strumentale, i lunghissimi assoli che Pino Daniele suonava all’interno dei suoi concerti. Dice ancora Verdelli: “Nella tournée del 1980-81 la band di Pino faceva dei concerti negli stadi con degli assoli che duravano 7-9 minuti. È una cosa che non si è ripetuta più nella musica italiana”.
Conferma Tony Esposito: “Il valore strumentale delle composizioni di Pino andrebbe recuperato. Perché oggi tutto termina nell’arco di tre minuti”. Invece, nei dischi di Pino Daniele, “c’erano degli assoli magnifici che noi suonavamo nei concerti”. E purtroppo “questa cosa oggi non si ritrova più”.
Oggi tutto sembra destinato a ridursi nello spazio di pochi minuti. Mentre con Pino Daniele si respirava la voglia di suonare, anche a lungo, con pezzi infarciti di assoli, di musica “suonata”. Tanto che il marchio di fabbrica di Pino Daniele era proprio la sua dimensione blues, una dimensione che ha fatto la differenza nella canzone napoletana. Esposito non a caso parla di “blues metropolitano”, “blues napoletano”, raccontando di Daniele. E, cioè, di un “canto di racconto, di dolore, di canto popolare che nasce naturalmente dai neri d’America” e che però “è stato adottato da Pino come elemento di racconto, di preghiera”. Nelle sue canzoni si trova “una sequenza blues cantata in napoletano”, con aperture tipiche napoletane.
Non si può parlare di Pino Daniele senza Napoli. Eppure, Napoli è una città che è stata per lui per certi versi soffocante. Spiega Verdelli: “Pino non poteva camminare per Napoli, veniva assalito da parenti, amici e tutti volevano qualcosa da lui”. E “questa cosa gli dava un grande fastidio”. Insieme, gli dava fastidio il fatto “che sulla sua onda sono usciti decine e decine di progetti musicali, alcuni validi, altri meno, che però vantavano gradi di parentela con lui…, come la Settimana enigmistica che ha molti tentativi di imitazione”. E “questa cosa lo infastidiva”. Per questo “si era allontanato da Napoli per un periodo”. Poi “verso la parte finale della sua vita si è riavvicinato moltissimo a Napoli, tant’è vero che fece una serie di concerti che si chiamava ‘Tutta un’altra storia’ al Teatro Tenda Partenope dove aveva invitato solo i musicisti napoletani”.