Sopraffatti da un’informazione ormai continua, molteplice e spesso presentata in maniera frammentaria e superficiale, tendiamo spesso a generalizzare o, detto in maniera popolare, a “fare di tutta l’erba un fascio”. Con l’Islam, la seconda religione al mondo per numero di fedeli (circa 2,4 miliardi), generalmente ciò accade. Non sempre consideriamo che all’Islam, religione affermatasi nella penisola araba nel VII secolo d.C., partecipano esperienze sociali diverse: per cultura, nazionalità, regimi politici e status economici. Oltre a ciò, abitualmente non valutiamo che nell’Islam esistono diverse correnti religiose: moderniste, tradizionaliste e fondamentaliste, le quali, a loro volta, comportano diverse interpretazioni del Corano (il Libro Sacro rivelato al Profeta Maometto direttamente da Allah, il dio unico dell’islamismo), in molti suoi passi.
Oltre a questioni quasi irredimibili di carattere politico e spirituale legate alla definizione di Imam, ossia la guida spirituale della comunità islamica (i sunniti basano la loro pratica religiosa sugli atti del profeta e sui suoi insegnamenti, gli sciiti vedono nei loro leader religiosi, gli ayatollah, la voce di Dio sulla Terra), una delle differenze fondamentali fra i due gruppi più importanti, gli sciiti e i sunniti, riguarda le eventuali innovazioni da apportare all’interpretazione del Corano, per adeguarla ai mutamenti storici e sociali. Per i sunniti ogni tipo di innovazione non contemplata dalla Sharia (ovvero, letteralmente, dal “percorso che conduce alla fonte”, cioè dalla direzione indicata dalla rivelazione), è un errore inammissibile, mentre, al contrario, gli sciiti sono aperti a determinate bid’a (innovazioni). Tralasciamo il fatto che queste differenze, sin da tempi remoti sono causa di pesanti conflitti tra le parti in causa, e cerchiamo di capire se e come queste differenze di pensiero abbiano influito e influiscano sulla condizione femminile.
Innanzitutto è importante soffermarci, anche se in maniera assolutamente superficiale (modalità indispensabile nel trattare temi che necessitano di libri interi per essere spiegati), sulla figura della donna nelle parole del Corano.
Nell’Islam, come nel Cristianesimo, l’uomo e la donna sono entrambi creati da Dio, ma i generi maschile e femminile hanno un’origine comune e la donna non viene “plasmata” con una costola dell’uomo: di conseguenza non vi è alcun riferimento ad una pretesa priorità o superiorità maschile. Non meno significativo è il fatto che la “colpa originaria” (la disobbedienza al non cibarsi dei frutti dell’albero proibito), il Corano la attribuisce paritariamente sia ad Adamo che a Eva. Eva quindi non è, come nella tradizione cattolica ed ebraica, tentatrice, seduttrice e ingannatrice. Allah, infatti, non la punisce (i dolori del parto non sono un castigo da lui voluto), anzi, alla donna non affida solo il compito della procreazione ma, come fa con l’uomo, la impegna a perseguire il bene. Detto con altre parole, uomo e donna sono uguali davanti ad Allah.
Il Corano e la storia, la storia del Corano
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Il Corano e la storia, la storia del Corano (1./2)
Laser 06.01.2022, 10:00
Il Corano e la storia, la storia del Corano (2./2)
Laser 07.01.2022, 10:00
Il Libro Sacro comprende numerosissimi riferimenti alla condizione femminile e questi, nel corso dei secoli, hanno inevitabilmente dato vita a interpretazioni diverse e distanti tra loro. Molti esegeti, infatti, sostengono che nella scrittura coranica sia evidente e dichiarata la supremazia dell’uomo sulla donna, ad esempio con versetti come questo: «Ammonite quelle [donne] di cui temete l’insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, picchiatele«. (Sura IV, vers.34). Altri sostengono invece il contrario e affermano che, essendo donna e uomo uguali e dotati delle stesse potenzialità agli occhi di Allah, il Corano sia concepito per un miglioramento graduale della condizione femminile rispetto alla società araba preislamica. Ad esempio, la Sura an-Nisa (4, 19), indica come dovere specifico dell’uomo trattare le donne gentilmente: «Comportatevi verso di loro convenientemente. Se provate avversione nei loro confronti, può darsi che abbiate avversione per qualcosa in cui Allah ha riposto un grande bene» .
Nel suo Sermone dell’Addio, pronunciato poco prima di morire nel 632, Maometto disse agli uomini «Voi avete determinati diritti sulle donne, ma anch’esse hanno diritti su di voi (…) gli uomini migliori sono quelli che le loro mogli considerano i migliori»: indubbiamente non è un’affermazione misogina. Certamente questo non significò che nel Corano non perdurasse una visione d’insieme che prevedesse versetti di questo tipo: «Se le vostre donne avranno commesso azioni infami, confinate quelle donne in una casa senz’acqua nè vitto finché non sopraggiunga la morte o Allah apra loro una via d’uscita». (Sura IV, 15).
E’ indubbio poi che, secondo la tradizione islamica, la donna, dovesse essere sottoposta all’autorità maschile: finché rimaneva in famiglia, a quella del padre e, dopo il matrimonio, a quella del marito. Ciò nonostante, è comunque condivisa da molti studiosi la convinzione che, all’epoca, grazie alle riforme radicali di Maometto rispetto alla società preislamiche, lo
status delle donne fosse il più elevato di qualsiasi altra società. Effettivamente, come si deduce da molte biografie del Profeta, Maometto predicò e praticò apertamente la parità assoluta tra donne e uomini come principio fondamentale della vera spiritualità.
Dopo la morte di Maometto, la condizione della donna andò però progressivamente modificandosi e perdendo molti diritti sia nell’ambito familiare che in quello giuridico e sociale. Non per nulla c’è chi, come la scrittrice e sociologa marocchina Fatima Mernissi, ragionando attorno agli sviluppi storici dell’islamismo fino al XXI secolo, ha sostenuto che, se è vero che tutte le religioni monoteiste vivono il conflitto tra il divino e il femminile, «nessuna però si è spinta tanto lontano quanto l’Islām, che ha optato per l’occultazione del secondo, almeno simbolicamente, cercando di velarlo, nasconderlo, mascherarlo» e, nel contempo, innalzando la differenza dei sessi a architettura sociale.