Società

Il peccato è donna

Appunti su mondi femminili e monoteismi

  • 29 febbraio, 13:42
Antonello da Messina, L'Annunciata, 1476

Antonello da Messina, L'Annunciata, 1476 (part.)

Di:  Romano Giuffrida 

Per secoli gli acquiescenti occhi di Maria nell’Annunciazione dipinta da Antonello da Messina o, tra gli innumerevoli altri, quelli delle eteree raffigurazioni della Vergine raffaelita o ancora quelli dall’algida Madonna del latte di Jean Fouquet, hanno trasmesso e trasmettono l’esaltazione simbolica dell’ideale femminile universale definito dalla Chiesa cattolica. A partire dalla Madonna seduta che tiene in braccio il Gesù bambino nelle catacombe di Priscilla a Roma, la più antica immagine mariana conosciuta (risalente circa al III secolo d.C.), l’iconografia dedicata a Maria di Nazareth si è adattata ai mutamenti culturali delle diverse epoche. In questo percorso si è via via sviluppato un processo di umanizzazione dell’icona mariana per conformarne il simbolismo all’esperienza di vita umana.

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Nulla però avvenne a caso. Con la glorificazione di Maria, la chiesa cattolica definì infatti una linea di demarcazione tra Eva e Maria ossia tra la “traditrice lasciva” e la “vergine salvatrice” ossia colei che ripara all’affronto della ribelle compagna di Adamo che ha portato la morte nel mondo, ponendosi come icona di salvezza per l’intera umanità femminile, una delimitazione utile a far sì che le donne si abituassero a riconoscere come modello di vita il volto esemplare e significante della Madre di Gesù. Perché? Perché di fronte a Eva che incarnava il peccato, l’accettazione di Maria di partecipare al progetto divino, simbolicamente stabiliva per le donne la sottomissione al dominio del Dio-Padre. D’altra parte non si deve dimenticare che la cristianità sorse all’interno di società patriarcali nelle quali gli uomini avevano posizioni di assoluta autorità nel matrimonio, nella società e nel governo. Società oltretutto, rigidamente inscritta nella narrazione biblica la quale, attraverso il peccato originale “compiuto” da Eva, aveva istituzionalizzato l’asimmetria tra il genere femminile e quello maschile.

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In questo contesto, nonostante il racconto evangelico mostri Gesù estremamente liberale nei confronti delle donne (difende una prostituta dal linciaggio, dialoga di religione con una samaritana, ecc.) il messaggio evangelico faticò non poco a farsi riconoscere all’interno della stessa comunità cristiana. Paolo di Tarso, vissuto nei primi decenni dopo Cristo e considerato “missionario del Vangelo”, venerato come santo e martire, favorì, ad esempio, un “ritorno all’ordine” nelle comunità cristiane secondo gli schemi della tradizione della Bibbia ebraica. Anche se formalmente riconobbe pari dignità ai due sessi, ritenne giusto che le donne, rimanessero sottomesse ai propri mariti perché, come scrisse nella Prima Lettera ai Corinzi: «l’uomo non ebbe origine dalla donna, ma fu la donna ad esser tratta dall’uomo; né fu creato l’uomo per la donna, bensì la donna per l’uomo». Per lo stesso motivo: «Le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge.» Inutile dire che, naturalmente, le donne è bene che siano «(…) prudenti, caste, dedite alla famiglia, buone, sottomesse ai propri mariti, perché la parola di Dio non venga screditata».

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Un’impostazione di questo genere e l’istituzionalizzazione chiesastica che ne è conseguita, conseguentemente bloccarono quell’emancipazione femminile alla quale il Vangelo invitava. La religione, come già il sapere e il potere, tornò nelle mani degli uomini, tant’è che da quel momento per la donna iniziò un processo di mortificazione sia storico che filosofico.

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«Se gli uomini potessero vedere quel che si nasconde sotto la pelle, la vista delle donne causerebbe solo il vomito. Se rifiutiamo di toccare lo sterco anche con la punta delle dita, come possiamo desiderare di abbracciare una donna, creatura di sterco?»: forse qualcuno non ci crederà, ma questa più che misogina considerazione la pensò e la scrisse un abate venerato dalla chiesa cattolica come santo, Oddone, vissuto tra l’ottavo e il nono secolo dopo Cristo. Probabilmente Oddone aveva fatto proprio l’insegnamento di San Girolamo, ossia Sofronio Eusebio Girolamo, Padre e Dottore della Chiesa, che tra Trecento e Quattrocento d.C. avvertiva: «La donna è la porta del demonio, la via della perfidia, l’aculeo dello scorpione, insomma una cosa pericolosa». Girolamo, a sua volta, si sarà nutrito del pensiero plurisecolare biblico che vedeva nella colpa originale di Eva la “peccatrice”, l’origine dei mali del mondo e che aveva portato il teologo e moralista Tertulliano vissuto tra il primo e il secondo secolo d.C., ad affermare riferendosi alla donna: «Non sai che anche tu sei Eva? La condanna di Dio verso il tuo sesso permane ancora oggi; la tua colpa rimane ancora. Tu sei la porta del Demonio!
Tu hai mangiato dell’albero proibito! Tu per prima hai disobbedito alla legge divina! (…). A causa di ciò che hai fatto, il Figlio di Dio è dovuto morire!». Non è difficile immaginare come queste “erudite” visioni della donna agissero su popolazioni analfabete e incolte determinando un atteggiamento di paura e soggezione. Così, già a partire dal III secolo si stabilisce definitivamente la separazione e sottomissione delle donne agli uomini nelle comunità cristiane. La femmina, come essere sessuato, faceva paura: ed è per questo motivo che quando il cristianesimo si fa Chiesa, ossia istituzione, uno dei primi obiettivi che si pone è quello di mettere sotto il più stretto controllo la sessualità e, più in particolare, il corpo della donna.

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In tal senso, il culto di Maria, con il quale, grazie a dogmi ed encicliche, la Chiesa nel corso dei secoli ha costruito il modello della donna “docile e obbediente”, sarà estremamente funzionale. Maria di Nazareth, che il racconto dei Vangeli ci restituisce “in carne e ossa”, ossia con i propri dubbi, piaceri e sofferenze, verrà infatti sostituita da un ideale ultraterreno capace di circondare il corpo delle donne di dogmi e tabù, presenti e assai problematici anche nel nostro tempo.

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