Quando buttiamo un alimento, non stiamo gettando via solo quel determinato prodotto, ma anche il terreno, l’acqua, l’energia e i nutrienti che sono stati impiegati per produrlo. Ecco perché tra le cause del cambiamento climatico non si può non citare lo spreco alimentare, tema più volte trattato a RSI Food, a partire dalla sua definizione, fino a consigli più pratici per limitarlo in cucina.
La situazione in Svizzera non è delle migliori: un terzo di tutto il cibo commestibile – prodotto o importato - sono persi o sprecati lungo la catena alimentare, arrivando a circa 2,8 tonnellate di cibo eliminato all’anno, ovvero 330 kg a persona. Dal campo al piatto gli alimenti vengono buttati in più stadi: nell’agricoltura (quando il raccolto non è esteticamente conforme ai requisiti di qualità), nella trasformazione, nel commercio all’ingrosso e al dettaglio, nella ristorazione e infine nell’economia domestica. Settore, quest’ultimo, che genera più rifiuti alimentari dei precedenti, ovvero quasi il 30% di tutto lo spreco alimentare annuale.
È un fenomeno che va contrastato quindi su più fronti: dal momento che gran parte dello spreco è causato dal privato, la comunicazione attraverso l’arte può essere un modo per sensibilizzare la popolazione sul tema. È quello che ha fatto Matilda Materni, laureata in mediazione artistica all’Accademia di Arte e Design di Basilea, con più performance artistiche, accumunate da una critica verso lo spreco alimentare dovuto alla sovrapproduzione.
Abbiamo discusso con lei di Smashpit II, performance rappresentata presso il Food Culture Lab FCL, una cucina-laboratorio ideata per essere uno spazio collaborativo che esplora il cibo come «mezzo, materiale e sistema vivente interconnesso».
Parlaci di Smashpt II: cosa metti in scena con questa performance?
«Io e altri tre performer mettiamo in scena tre “mondi” o livelli presenti nella società, rappresentati attraverso personaggi che fanno parte del problema dello spreco alimentare.
Il primo livello mette in scena un’influencer che rappresenta l'ideale di bellezza; infatti, è ossessionata dalla propria immagine e dal desiderio di salute. Si rivolge in modo spensierato ad una telecamera, parlando della sua nuova routine alimentare e bevendo un frullato verde.
Per il secondo livello, due performer riproducono la catena di montaggio industriale attraverso due operai che tagliano frutta e verdura (che abbiamo salvato dalla spazzatura) in modo meccanico, mettendo in un frullatore la polpa e scartando tutto il resto, come avviene nello stadio di trasformazione del cibo, in cui molti sottoprodotti o scarti che non sono ritenuti utili per il prodotto finale vengono buttati.
Il terzo e ultimo personaggio invece è a terra che cerca impotentemente di afferrare i resti buttati dagli operai e sulla sua pelle sono iscritti alcuni slogan che criticano il sistema capitalista. Questo ultimo personaggio può essere interpretato come un martire, ovvero colui che soffre per soddisfare i bisogni dei più privilegiati, o come l’anello più debole della catena alimentare: un contadino che non riceverà mai i guadagni del suo duro lavoro. Scenicamente, il livello dell’infuencer è opposto a quello del martire, per sottolineare la distanza tra ricchi e poveri, tra fantasie superficiali e la realtà più dura.»
Cosa volete trasmettere con la vostra performance?
«Con Smashpit II l’intento è quello di affrontare in modo critico il problema dello spreco alimentare, rappresentando l’attuale stato dei consumi nella società occidentale. Quello che però è importante far notare è che non stiamo presentando una soluzione al problema: crediamo nell’arte come mezzo per attirare l’attenzione e fare riflettere il pubblico su questioni sociali e politiche. Vogliamo stimolare domande e discussioni, e le performance artistiche possono essere un mezzo coinvolgente e provocatorio per affrontare anche tematiche legate alla sostenibilità.»
Com’è nata l’idea di creare una performance artistica proprio riguardante lo spreco alimentare?
«Tutto è partito in Germania – dove mi trovavo per un Erasmus – quando ho partecipato ad alcune azioni di recupero di cibo buttato dai supermercati nella spazzatura. Lì mi sono resa conto della gravità della situazione: tornavamo a casa con borse della spesa stracolme di cibo che se non l’avessimo recuperato sarebbe stato buttato, pur essendo perfettamente commestibile. Vederlo con i miei occhi mi ha reso più cosciente della situazione, anche perché pensavo agli sforzi che erano stati necessari per produrre quegli alimenti, che a quel punto risultavano inutili.
Da quel momento sono sempre rimasta attiva in progetti contro il food waste e ho deciso di centrare la mia tesi di laurea sull’argomento, creando una performance artistica apposita.»
Un’altra performance in centro Basilea
C’è un aspetto del fenomeno del food waste che ti tocca in modo più significativo?
«Sono particolarmente sensibile allo spreco legato agli standard estetici che la frutta e la verdura devono raggiungere per essere venduti ai supermercati, e infatti parte della performance è centrata su questo aspetto. Documentandomi, ho trovato le indicazioni degli standard di qualità europei che i prodotti agricoli devono rispettare: se non sono conformi, non sono venduti e quindi lasciati in mano al contadino o sul campo, provocando degli sprechi.
Per garantire la sicurezza alimentare, la qualità dei prodotti e la protezione dei consumatori l’Unione Europea, infatti, stabilisce dei requisiti minimi tra cui alcuni standard di qualità abbastanza rigidi riguardanti dimensione, aspetto, consistenza e forma del prodotto. Questo rappresenta un problema perché la frutta o la verdura non conforme a questi requisiti viene scartata, anche se perfettamente commestibile.
Se prendiamo come esempio le mele, esistono tre categorie – Extra, I e II - che dipendono dal loro livello di qualità: più si scende nelle categorie e più il prodotto presenta maggiori difetti estetici. Quelle classificate come “Extra” sono quindi uniformi, brillanti, regolari e succose. Questa divisione può implicare uno spreco da parte degli agricoltori, dal momento che se un prodotto non cresce come previsto dagli standard della categoria, questo sarà rifiutato e quindi scartato.
Sia in Smashpit II sia in altre mie performance ho cercato di portare questi aspetti problematici legati sia agli eccesivi standard estetici sia allo spreco dovuto alle date di scadenza. Anche se lavoro con lo scarto di frutta e verdura dei supermercati (dunque non quello causato dai requisiti di qualità, visto che avviene dopo la vendita), voglio comunque porre l’attenzione sull’assurdità di rifiutare alimenti che non sono in nessun modo dannosi per la salute, ma che semplicemente non corrispondono ad attributi estetici talvolta irrazionali.»
Il video della performance è disponibile qui.
Fonti:
foodwaste.ch
admin.ch