La 64esima Berlinale non fa eccezione ad una tendenza che negli ultimi anni ha portato sullo schermo le figure di alcuni tra gli stilisti più noti della nostra epoca.
Il film di fiction "Coco avant Chanel" (2009) con Audrey Tautou era stato probabilmente il caso più eclatante, ma in anni recenti non sono mancati i documentari come "Lagerfeld Confidential" (2007), "Valentino l'ultimo imperatore" (2008), "L'amour fou" (2010) su Saint Laurent. Proprio al "pied-noir" discepolo di Christian Dior è dedicato anche il biopic " Yves Saint Laurent ", presentato alla Berlinale (sezione Panorama) ma già uscito in Francia. La voce narrante è quella del compagno di una vita dello stilista, Pierre Bergé, angelo custode manageriale di un uomo dal talento geniale che però il film definisce "maniaco-depressivo".
Due valenti attori della Comédie Française, Pierre Niney e Guillaume Gallienne , ce la mettono tutta per sostenere un plot che finisce per apparire pieno di semplificazioni, luoghi comuni sull'omosessualità, clichés sul magico mondo della haute couture.
Quando si tocca un grande della moda, l'impressione è che l'aura sia spendibile a prescindere dal risultato, più o meno come il concetto stesso di griffe. Il senso del film può allora essere quello, divulgativo, di fare entrare lo spettatore nei risvolti poco noti che aleggiano dietro la scritta YSL.
Marco Zucchi