Applausi alla proiezione stampa (a Venezia non sono una reazione automatica), applausi alla proiezione pubblica serale (qui sì il pubblico è più generoso, anche perché per entrare paga una cinquantina di euro di biglietto e sarà meglio che si diverta): il film è l’americano “Parkland”. A cinquant’anni dall’assassinio di John Fitzgerald Kennedy (22 novembre 1963) ci si torna su in una maniera un po’ nuova. Anche pecrhé gli anniversari, si sa, al di là dei pensieri nobili rendono sempre.
Sfrugugliando in youtube (basta digitare Abraham Zapruder) compare tra le altre cose un estratto d’epoca di una trasmissione televisiva della WFA TV di Dallas, Texas. Introduce l’intervista all’uomo che ha realizzato una delle riprese più note di sempre. Abraham Zapruder, appunto. Un sarto cinquantottenne, ebreo russo immigrato negli States con la famiglia negli anni ’20, il 22 novembre del ‘63 si trova su un muretto con la sua cinepresa 8mm e riprende il corteo presidenziale di John Fitzgerald Kennedy nel momento fatale. Il filmato mostra la testa del presidente che esplode sotto i colpi del suo assassino (o dei suoi assassini). Di lì in poi quel filmato lo si è visto tutte le volte in cui si è parlato dei fatti. E in rete lo si trova in innumerevoli variazioni (anche se va ricordato che non è l’unico: ne esiste anche uno ripreso dal cosiddetto “reverse angle”).
“Parkland” è in concorso e al di là della buona reazione di stampa e pubblico non sembra avere le carte in regola per competere per il Leone. È convenzionale e un po’ televisivo, ma presenta qualche elemento interessante. Il titolo è preso dal nome del Parkland Memorial Hospital, nel cui reparto d’urgenza venne portato Kennedy morente. Rispetto ai famosi precedenti (su tutti “JFK” di Oliver Stone) si concentra su alcune figure secondarie ma significative: il medico del pronto soccorso Jim Carrico (è l’idolo delle teenager Zac Efron), l’infermiera che era di turno (Marcia Gay Harden), il fratello e la madre di Lee Harvey Oswald, vari poliziotti e agenti che intervennero in prima istanza, e poi proprio Zapruder (interpretato da Paul Giamatti), di cui si ricostruisce la traumatica esperienza: come dicono i titoli di coda, ne restò segnato per sempre. L’attesa a bordo strada, le riprese, lo sviluppo e la consegna del filmato a polizia, servizi segreti e alla rivista Life Magazine (che pagò per pubblicare i fotogrammi in esclusiva).
Il film è girato in maniera naturalistica, ricostruendo i vari eventi dei tre giorni successivi all’assassinio un po’ alla rinfusa, cercando di rendere il caos del momento e anche di dare una luce contemporanea alla violenza: così ha detto Peter Landesman, esordiente alla regia ma con un passato da giornalista d’inchiesta e da corrispondente di guerra (in Kosovo, Pakistan, Afghanistan, Ruanda).
Le scene più intense a mio parere: il coroner texano che vorrebbe effettuare l’autopsia ma viene dissuaso dallo staff di Kennedy (uno dei tanti motivi di mistero nelle tesi più complottistiche); la bara di Kennedy sospinta a forza sull’aereo presidenziale dai suoi uomini completamente in confusione; i funerali paralleli del Presidente e del suo (presunto) assassino Oswald. L’uno in diretta ovunque, l’altro con nessuno disposto a prendere a spalle la bara.
L’impressione è che gli anniversari e le ricorrenze siano una faccenda principalmente mediatica. Film come questo (che resta interessante ma nulla più) o come il documentario di Scola su Fellini si potrebbero girare anche nel quarantottesimo o cinquantatreesimo anniversario della scomparsa (diciannovesimo o ventunesimo o ventiduesimo eccetera nel caso di Fellini). Ma vuoi mettere quanto aumenta il tam tam quando fa cinquanta o venti tondi tondi?
Marco Zucchi
Gallery image - L'assassinio Kennedy per Landesman