Testi letterari, letti da una voce spesso fuori campo in modo brecthianamente straniante. Immagini in cui abbondano lunghe panoramiche o opere d’arte riprese per intero con inquadrature fisse senza che la camera cerchi per l’occhio qualche dettaglio.
Non è un cinema facile quello di Jean-Maire Straub. Né tantomeno un cinema che indulga allo spettacolo. È però un cinema non solo rigoroso – come è stato spesso definito – ma soprattutto essenziale in cui il “less is more” trova una perfetta e poetica incarnazione.
Un cinema che è il frutto del lungo sodalizio artistico e sentimentale con Danièle Huillet, nata nel 1954 quando i due erano ancora studenti e proseguito fino alla scomparsa della Huillet nel 2006.
Nato a Metz in Francia nel 1933 ed espatriato in Germania nel 1958 per evitare di dover combattere nella guerra in Algeria, oggi Jean-Marie Straub vive in Svizzera dove continua a lavorare con Barbara Ulrich. Il Locarno Festival che Straub ha frequentato a cadenze regolari lo premia con il Pardo d’onore venerdì 11 agosto e insieme a lui omaggia il suo cinema con la proiezione in Piazza Grande di Sicilia! (1998).
La pellicola è un ottimo esempio del lavoro di Straub/Huillet. Durante i sopralluoghi in Sicilia per un film si imbattono in mucchi di arance che marciscono sotto un ponte. Qualcuno racconta loro che il libro di Elio Vittorini Conversazione in Sicilia parla proprio di questo. Lo leggono, restano colpiti e decidono di lavorare a una riduzione. Ricorda Straub in un’intervista “Tutte le parole del film vengono dal testo, ma i dialoghi non hanno questa forma nel romanzo. Spesso sono intercalati da note psicologiche o descrittive.” Ecco, Straub e Huillet eliminano quelle parti e restituiscono la psicologia dei personaggi con la potenza espressiva delle loro immagini.
Ma la programmazione di Locarno Festival ha dato spazio a diverse altre pellicole di Straub: una panoramica che spazia dal 1968 fino al 2015 e che segue le recenti retrospettive dedicatigli dal MoMA di New York, dal Centre Georges Pompidou di Parigi e dal Museo Reina Sofia di Madrid.
MBON