I tassi negativi introdotti in Svizzera alla fine del 2014 non servono più, bisogna tornare in una situazione di normalità poiché l'attuale politica monetaria non raggiunge i suoi scopi e, inoltre, gli effetti indesiderati prevalgono su quelli positivi. È la conclusione di uno studio effettuato da Swissbanking, l'associazione mantello dei banchieri che ora chiede di trovare "una via d'uscita dalla modalità di crisi".
"I tassi negativi non devono essere considerati una situazione senza alternative" afferma l'analisi pubblicata giovedì dall'ASB rilevando che il franco non è più sopravvalutato e i prezzi sono stabili. L'industria esportatrice - sostengono gli autori - si è inoltre ripresa da tempo dallo "shock" provocato dall'abbandono del cambio fisso con l'euro a 1,20 franchi e ormai cresce in maniera dinamica: non solo nel commercio di merci le eccedenze sono continuamente salite, anche il turismo si è chiaramente ripreso. L'unico "settore di rilievo" che negli ultimi 10 anni si è contratto è quello finanziario.
Per l'economia nel suo insieme, secondo gli autori, i rischi e i danni conseguenti alla politica dei tassi negativi sono invece molteplici: sussistono ad esempio "marcate distorsioni" sul mercato immobiliare svizzero a causa della penuria di valide alternative d'investimento.
I minori rendimenti mettono poi a rischio la stabilità della previdenza vecchiaia. "Ciò ha conseguenze economiche e sociali, in particolare per i pensionati futuri", avvertono gli autori dello studio ricordando anche i che tassi negativi gravano direttamente anche sulle banche riducendone la redditività: nel 2018 i tassi negativi sui conti giro hanno fruttato alla BNS circa 2 miliardi di franchi.