Come vivono i membri delle comunità ortodosse in Israele le operazioni militari condotte a Gaza e come le giustificano? Una domanda che si è posta l’inviata RSI nello Stato ebraico Naima Chicherio, che ha incontrato Michal Froman: lei è stata accoltellata da un giovane palestinese anni fa. Ora legge la sua vita come una lotta tra il bene e il male. Ha una visione delle cose strettamente legata alla religione, che interpreta in maniera rigorosa, sostenendo inoltre che ci siano moltissime analogie fra i testi sacri e quello che sta succedendo in Medio Oriente. La nostra inviata l’ha incontrata e intervistata proprio nel luogo dove ha rischiato di morire:
Dietro il portone di ferro c’è un negozio di vestiti di seconda mano. Siamo fuori orario, ma per lei la porta è sempre aperta. Qui, qualche anno fa, è stato versato del sangue. Michal è una donna solare, ma la sua voce d’ora in avanti si farà sempre più bassa. È tanto che non parla di quel momento, ci dice.
“Il ragazzo è arrivato in negozio e si è fermato all’entrata – racconta alla RSI – Io ero proprio qui. Ero incinta. Non aveva il volto coperto, quindi non ho pensato che fosse un terrorista. Non capivo cosa stesse succedendo. Ho fatto qualche passo verso di lui per chiedergli cosa volesse, di cosa avesse bisogno. Non sembrava confuso, ma era come se non sapesse da che parte andare: mi ha accoltellata”.
A quel punto Michal cade a terra, prova a proteggersi con le braccia ma viene accoltellata di nuovo, questa volta sotto la clavicola. La lama arriva al polmone. Il ragazzo fugge.
“Non potevo alzarmi, né respirare – prosegue Michal nel suo racconto – Poi, ho sentito due colpi e ho capito che qualcuno aveva sparato al giovane. Ho penso: sì, deve morire. Ma subito dopo mi sono detta: no, l’ho guardato negli occhi, come posso desiderare la sua morte?”
Nuora di Menachem Froman, rabbino celeberrimo anche per le sue iniziative di pace, per le connessioni con la comunità palestinese, Michal dopo l’accoltellamento si tuffa nell’attivismo, fa di tutto, dal confronto con la polizia israeliana ai palchi di Tel Aviv, da cui racconta la sua storia a decine di migliaia di persone.
“La vita è una costante lotta tra il bene e il male – ci dice – Il male arriva per mostrarci una parte di noi che non vogliamo vedere”.
Michal prosegue il suo racconto: “Quello che è successo il 7 ottobre (l’attacco sferrato da Hamas contro Israele, ndr.) non somiglia a nulla di quanto successo finora nel conflitto fra noi e i palestinesi. L’oscurità è calata sul mondo. Mai vista una malvagità simile: abbiamo bisogno di nuovi strumenti”.
Per afferrare le ragioni di questa guerra, Michal non cerca nel suo profondo, bensì nelle sacre scritture, ci dice. Legge ogni sabato la Torah; in ottobre stava leggendo la Genesi. Afferma che nei testi ci sono tantissimi legami con quanto successo il 7 ottobre. Nella storia di Noè, lei vede Noa Argamani, rapita da Hamas. Nella figura biblica di Giuditta dice di vedere Judith Weiss, uccisa il 7 ottobre alle porte del Kibbutz Beri.
“Gli ebrei religiosi amano parlare di Abramo, che è stato scelto da Dio per portare la luce sul mondo, e della Genesi”, che, ci spiega, contiene una parola la cui pronuncia si avvicina molto ad “Hamas”, ma che significa “violenza”. “Non abbiamo dato noi a loro questo nome, se lo sono scelto da soli”*.
Cosa dicono i testi sacri sul futuro della Striscia di Gaza e del futuro degli oltre due milioni di palestinesi che la abitano? “Conosco cinque persone di Gaza che sono buone e voglio credere che ce ne siano di più…”, ci risponde.
*Dall’enciclopedia Treccani: Hamas è acronimo di Harakat al-muqawamat al-islamiyya («movimento della resistenza islamica») e in arabo omofono di «zelo, ardore»
Un medico a Gaza
RSI Info 22.12.2023, 18:00
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