Due stanze separate, una per delegazione, e in mezzo i diplomatici dell’Oman a fare la spola trasmettendo messaggi. Cosi, stando a fonti diplomatiche, si svolgono i colloqui tra Iran e Stati Uniti nella residenza dell’ambasciatore omanita a Roma, in via della Camilluccia, secondo round di discussione (non è una trattativa formale) dopo quello tenutosi la scorsa settimana a Muscat, la capitale dell’Oman.
Teheran e Washington, si sa, non hanno relazioni diplomatiche formali dal 7 aprile 1980 (è la Svizzera a rappresentare gli interessi di Washington a Teheran, mentre il Pakistan fa la stessa cosa con il Paese degli ayatollah nella capitale USA). Ma il livello dei partecipanti testimonia, da solo, quanto sostanziale sia la posta in gioco. La delegazione iraniana è guidata dal ministro degli esteri Seyyed Abbas Aranchi, reduce da una trasferta a Mosca dove ha visto anche Vladimir Putin; per gli Stati Uniti c’è l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, che prima di Roma si è fermato a Parigi dove - tra una riunione sull’Ucraina e l’altra - ha incontrato senza clamori alcuni ufficiali israeliani, tra cui funzionari del Mossad, come rivelato da uno scoop di Axios. Il vicepresidente USA JD Vance - a Roma per la settimana santa - non è della partita ma di sicuro si tiene informato. E anche la diplomazia italiana non è nella stanza, il che non impedisce al ministro degli esteri Tajani di incontrare in bilaterale tutti i protagonisti e alla Farnesina di apprezzare la scelta dell’Italia, presentata come l’ennesima prova dello standing internazionale del Paese sotto il governo Meloni. A Roma, per ogni evenienza, c’è anche il direttore generale dell’Agenzia ONU per l’energia atomica, Grossi.
Stando alle indiscrezioni, gli iraniani - che sono giunti nella capitale italiana ostentando pessimismo - sono disposti a trattare sulle modalità del loro programma di arricchimento dell’uranio ma non a sospenderlo. “Siamo per un accordo equilibrato, non per una resa”, ha scritto su X (il social network proprietà di Elon Musk) Ali Shamkhani, consigliere della Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei. Gli iraniani vorrebbero inoltre limitare la discussione alla sola questione nucleare e alle durissime sanzioni occidentali che colpiscono il loro Paese. Teheran nega di volersi dotare di una bomba atomica ma poi afferma che il principale ostacolo a un Medio Oriente senza nucleare è Israele (lo stato ebraico dispone di ordigni nucleari, anche se non lo ha mai confermato ufficialmente). Impossibile, dunque, parlare dell’atomica iraniana senza affrontare il tema complessivo dei rapporti di sicurezza nella regione.
Teheran: “a Roma colloqui utili con gli USA”
“Oggi, si sono svolti colloqui ‘utili’ in un clima costruttivo nell’incontro indiretto tra le delegazioni iraniana e americana a Roma, con la mediazione dell’Oman”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Esmail Baghaei. Quest’ultimo ha dichiarato ai giornalisti che preservare i successi tecnici e nucleari dell’Iran è un ‘obbligo’, mentre Teheran è pronta a dissipare ogni dubbio sulla natura del suo programma nucleare. “Insistiamo sulla revoca delle sanzioni e chiediamo garanzie che ciò venga fatto”, ha affermato, aggiungendo: “La nostra posizione su queste due questioni è fondamentale e immutabile”.
Accordarsi conviene
Un’intesa multilaterale sul nucleare iraniano era stata raggiunta nel 2015, con il coinvolgimento di Francia, Germania, Russia e UE, ed era stato un successo prezioso, in un mondo povero di accordi sulla sicurezza. Ma Trump l’ha fatta fallire ritirando gli Stati Uniti nel 2018, durante il suo primo mandato. Perchè era un pessimo accordo, ha spiegato lui; perché era stato firmato da Obama, affermano i critici del presidente USA (Trump disfò praticamente tutto quanto era stato fatto da Obama).
Otto anni dopo, il mondo non è diventato più sicuro, il Medio Oriente è in fiamme e lo stesso Trump lo ammette, visto che il mese scorso avrebbe bloccato un tentativo di Israele di risolvere la partita con un attacco militare ai siti iraniani di stoccaggio dell’uranio. Dopo il deludente risultato della trattative sull’Ucraina, che hanno sempre più l’aria di non andare da nessuna parte, a Washington un successo diplomatico farebbe bene. Sul tavolo ci sono ancora molti degli elementi dell’intesa di dieci anni fa, anche se dalla Casa Bianca affermano che l’accordo, se ci sarà, sarà un accordo del tutto nuovo, un accordo alla Trump.
Anche l’Iran ha bisogno di respiro, economico e politico: è bastato il poco di questi giorni per vedere il corso del rial, la moneta nazionale, ripredere quota. Una ipotetica nuova intesa (o il riciclo di quella vecchia sotto nuove spoglie) potrebbe infine vedere anche Mosca tornare a giocare un ruolo, magari per custodire l’eccesso di uranio iraniano arricchito degli ayatollah. Anche la Russia, dunque, ne trarrebbe giovamento. Ma la partita è delicata e complessa ed è improbabile che da Roma oggi escano risposte definitive.