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Fronte del Donbass: “Per cosa sono morti i nostri ragazzi?”

Il nostro inviato ha incontrato a Sloviansk due artiglieri ucraini che raccontano il loro “lavoro” sotto le armi: “Restiamo in questo buco per una settimana. È come essere in un sottomarino”

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SEIDISERA del 30.03.25, il servizio di Pierre Ograbek

RSI Info 30.03.2025, 19:34

  • RSI
Di: SEIDISERA/Ograbek/Spi 

“Viviamo come ratti sottoterra”. Al fronte, nell’inferno del Donbass, i militari ucraini stanno rintanati per proteggersi dai droni russi. A Sloviansk, l’inviato della RSI Pierre Ograbek ha chiesto a due artiglieri di raccontare come si sopravvive in un bunker.

“È un buco scavato nel terreno, che misura circa 2 metri per 6 metri”, spiega Maksim, ufficiale d’artiglieria. Lui combatte così da un anno. “Non si può uscire per prendere una boccata d’aria fresca. Bisogna restare nascosti. Ogni movimento è limitato. Si rimane in questo buco per una settimana”.

I droni in volo, riferisce l’inviato, condizionano infatti ogni movimento e fare avanti-indietro da queste postazioni è estremamente pericoloso. Per ridurre i rischi i due soldati utilizzano, su un telefonino, un sistema di monitoraggio dei cieli. Così possono vedere quanti sono i droni in azione e seguire le loro traiettorie. Occorre aspettare il momento giusto per muoversi, ed evitare di essere individuati. Anche perché poi molto rapidamente ne possono arrivare altri, che trasportano piccole quantità di esplosivi, pochi chili, ma sufficienti per distruggere un veicolo, per uccidere delle persone al suolo. Colpiscono con una precisione elevatissima.

All’inizio non era così, precisa Viktor, in guerra ormai da tre anni, “era un po’ come in campeggio. Si dormiva in tenda, nel bosco, si accendeva il fuoco. Non c’era tutta questa paura. Non si pensava assolutamente a seppellirci in un buco sottoterra. Ora invece è troppo pericoloso, c’è sempre qualcosa che sta volando: se non sono i droni sono le bombe plananti, oppure i colpi di artiglieria. Viviamo come ratti, sottoterra. Non più all’aperto, nella natura, quando i rimbombi lontani creavano pure una certa atmosfera”.

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Maksim, ufficiale d’artiglieria ucraino

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Uno dei temi, ricorrente, è quello della carenza di munizioni da parte ucraina. “Avevamo l’abitudine di dire che ne avevamo abbastanza - ricorda Viktor -. Ci sono stati dei momenti in cui i nostri cannoni potevano sparare oltre 200 colpi al giorno. Ce ne sono stati altri in cui abbiamo sparato solo 10 colpi, ovvero: venti volte di meno. Dipende tutto dalla situazione. In questo momento è sicuramente più difficile rispetto a due anni fa, quando abbiamo vissuto uno dei migliori momenti per quanto concerne i rifornimenti”.

I due artiglieri parlano anche della pressione psicologica di dovere restare a lungo in uno spazio così ridotto: “La gente si abitua a tutto. Ti ci abitui. Nel mio caso l’unica cosa che mi preoccupa è la sensazione di essere come in un sottomarino. Non c’è nessuna uscita. Per 7 giorni rimani lì. Lavori lì. È un po’ complicato”, dice Maksim. “Cerco di mantenermi in uno stato psicologico normale - gli fa eco Viktor -. Ci sono giorni in cui si sprofonda nell’apatia. Io sono motivato innanzitutto dalla famiglia, mia moglie, il mio cane, che mi stanno aspettando, voglio vivere in Ucraina e voglio viverci come prima”.

Viste da “sottoterra”, cambia la prospettiva sulle discussioni promosse nelle ultime settimane dagli Stati Uniti con Russia e Ucraina. Alla domanda se sia il momento giusto per un cessate il fuoco, Viktor risponde che “dipende tutto dalle garanzie di sicurezza. Certo, voglio tornare a scuola per insegnare ai ragazzi scienze informatiche. Ma un cessate il fuoco deve arrivare con delle vere garanzie di sicurezza”. Per Maksim, “queste sono una parte, forse la più importante, della questione. Ma ci sono anche le condizioni sotto le quali il cessate il fuoco dovrebbe essere introdotto. Se le condizioni sono quelle che permettono alla Russia di ottenere ciò che vuole, allora spunta un’altra questione per me: per cosa sono morti i nostri ragazzi? Quelli che hanno pagato con la loro vita? È una questione molto complessa. Penso che ognuno la veda alla propria maniera, non c’è una singola visione comune nella nostra società”.

Infine si parla del compromesso, del sacrificio di una parte dei territori ucraini occupati dalla Russia, per mettere fine alla guerra. “Secondo me è assolutamente folle che nel XXI secolo in un Paese democratico finito sotto attacco ci si ritrovi a parlare di compromessi. C’è un vicino più forte che ha deciso di invaderci senza motivo. Ora la Russia dice: facciamo la pace, e c’è bisogno di un compromesso. Quale compromesso? Il tuo Paese è stato attaccato. E ora anche gli altri Paesi dicono: troviamo un compromesso con l’aggressore stesso. Immagina che qualcuno ti attacchi, che uccida la metà della tua famiglia e poi ti dica: troviamo un compromesso, siamo tutti per la pace. Ma di che pace stiamo parlando?”.

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