"Le parole sono importanti, danno corpo agli argomenti. Per sconfiggere il salafismo jihadista e la sua incarnazione armata, il Califfato, dobbiamo prima vincere proprio la guerra delle parole, che oggi l'Occidente sta perdendo". Così, ai microfoni della RSI, Philippe-Joseph Salazar.
Il filosofo francese, professore di retorica all'Università di Cape Town, sostiene che "i fronti del conflitto non sono due ma tre: Medio Oriente, Europa e... la guerra di propaganda globale", quindi invita politici e giornalisti a usare, per esempio, il termine califfato al posto di Stato Islamico o dei suoi acronimi (IS, ISIS o DAESH).
Salazar: "Dobbiamo chiamarlo Califfato, non Stato Islamico"
RSI Info 19.01.2016, 18:48
ISLAMICO O ISLAMISTA?
"La parola califfato ha radici nella memoria storica e culturale europea; ricorda a noi occidentali la potenza degli Stati islamici precedenti (ottomani, imperiali)", spiega Salazar, presentando alle nostre telecamere il suo ultimo libro: "Parole armate. Quello che l'ISIS ci dice e noi non capiamo" (editore Bompiani). "Stato Islamico, invece, "è ambiguo", perché esistono altri Stati islamici come, ad esempio, il Sudan, l’Iran, il Pakistan. È sbagliato anche usare l’aggettivo islamista per definire i “cattivi” (i terroristi) e islamico per i “buoni” (i musulmani moderati). "Per essere logici, allora, dovremmo parlare di Stato Islamista. E poi dobbiamo capire che l’Islam è un continuum di credo; ogni musulmano può passare "all’islamismo", in qualunque momento. Ed è proprio ciò che sta succedendo".
ACRONIMI INUTILI
Salazar critica la scelta francese. "Parigi ha imposto alle reti pubbliche l'acronimo DAESH, ma è una parola che non ha presa, un fallimento. A meno che non si parli arabo, non si capisce cosa significhi, mentre un glossario politico deve essere immediatamente comprensibile. Califfato suscita molti ricordi, DAESH, invece, fa pensare a cose che io non ripeterò in francese (in arabo ha un suono simile a parole spregiative NDR)".
Abu Bakr al-Baghdadi ha rifondato il Califfato nell'estate 2014. "L'effetto retorico della sua prima apparizione fu magistrale; richiamò la tradizione delle parole e dei gesti del Profeta", spiega Salazar
GLI EUROPEI, INFEDELI DA CONVERTIRE
"Nella tradizione politica dell'islam - scrive Salazar - il mondo è diviso in due: qui gli infedeli, là i credenti, e tra i due non può che instaurarsi, se il credente obbedisce a Dio, uno stato di guerra. Guerra dovuta al rifiuto del miscredente di abbandonare il politeismo e i suoi idoli". Su questo, spiega il filosofo, fa leva la comunicazione del salafismo per spingere i fedeli alla riconquista: del Nord Africa, del sud della Spagna, della Sicilia, di parte dei Balcani..., i territori già dominati dal Califfato secoli fa".
A cavallo, per evocare anche la potenza islamica dei secoli passati
NON SAPPIAMO USARE INTERNET
"Gli alleati dovrebbero impegnarsi nell'anti-propaganda. Pochi opuscoli e qualche video non bastano per contrastare l'immensa mediateca messa online dagli jihadisti. Il Califfato è la prima potenza che utilizza internet a fini politici, di ideologia globale. L’occidente, come Frankestein, ha creato un mostro cibernetico che si sta rivoltando contro di lui. Utilizziamo internet per cose assurde, come Facebook o Twitter e non sappiamo usarlo per una propaganda altrettanto efficace, globale e diversa, come fanno gli integralisti".
Un militante pronto a postare un filmato sul web. La mediateca realizzata dagli jihadisti è immensa
PREPARARSI A UNA COESISTENZA NON PACIFICA
La conclusione? "Anche se il califfo sarà ucciso da un drone, avrà un successore. Bisogna essere realisti e prepararsi a una coesistenza non pacifica, basata su rapporti di forza. Il Califfato ci rimanda alla realpolitik. Sta a noi adattare il nostro glossario. Ma non inventiamo su due piedi i termini retorici di un impegno politico", scrive Salazar.
Massimiliano Angeli