Mondo

Il voto degli afroamericani

La North Carolina conta la più alta percentuale tra gli Stati in bilico; la maggior parte di loro ha sempre votato democratico, ma cresce il dissenso

  • 22 settembre 2020, 10:22
  • 22 novembre, 18:30
03:58

Radiogiornale 12.30 del 17.09.20: il reportage di Emiliano Bos dal North Carolina

RSI Info 22.09.2020, 10:02

  • RSI/Emiliano Bos
Di: Emiliano Bos, corrispondente dagli Stati Uniti 

Elezioni statunitensi, viaggio negli Stati in bilico che potrebbero decidere il prossimo presidente: dopo la Pennsylvania, il nostro corrispondente Emiliano Bos ci porta in North Carolina.

L’appuntamento con Antoine Thomas è a un tavolo della Carolina Ale House, birreria di una catena molto popolare da queste parti, incastonata nel solito parcheggio di un centro commerciale col sottofondo di tir rumoreggianti sull’autostrada accanto.

“Molti afroamericani tra noi votano democratico per default, ce l’hanno detto mamma e papà. Ma adesso è il momento di cambiare”, mi dice Thomas, direttore qui in North Carolina del movimento “Blexit”, di cui indossa un cappellino da baseball.

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L'intervista a Antoine Thomas, direttore di Blexit in North Carolina

RSI Info 22.09.2020, 11:59

  • RSI/Emiliano Bos

“Dimentichiamo come hanno votato le nostre nonne e i nostri zii” gli fa eco nell’elegante caffè-galleria d’arte “Lucky Tree” Danielle Robinson, che lo ha preceduto alla guida di “Blexit”. Un acronimo che alle nostre latitudini inevitabilmente richiama la Brexit. Anche in questo caso manifesta una voglia di fuga: non dall’Unione Europea, ma dall’unione ritenuta ormai scomoda con i democratici.

Il movimento Blexit (“BL-ack EXIT”) auspica la fuoriuscita della comunità afroamericana dal partito che storicamente ha rappresentati questi elettori negli ultimi decenni. In passato però i democratici erano il partito degli schiavisti, almeno qui al Sud degli USA e almeno fino alle proteste degli Anni Sessanta e delle svolte legislative come il Voting Rights Act del 1965, come mi ricorda il professor Hasan Crockett, incontrato alla St. Augustine University di Raleigh, la capitale della North Carolina.

00:51

Danielle Robinson, afroamericana e conservatrice

RSI Info 22.09.2020, 10:19

Il malcontento adesso è percepibile. Antoine Thomas, ex-vice-sceriffo 34enne, e Danielle Robinson, agente immobiliare 40enne originaria di New York, ribadiscono lo stesso messaggio: non bisogna più dare per scontato il voto afroamericano a favore dei democratici. Anzi. Le giovani generazioni, sostengono, devono guardare ai risultati. E Trump – insistono entrambi – ha contribuito al benessere della comunità afroamericana più del suo predecessore. Che è stato comunque il primo presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti.

Tra i risultati ottenuti da Trump citano i contributi per gli “Historically Black College”, le università afroamericane fondate in gran parte tra l’800 e il secolo scorso: 300 milioni di dollari stanziati dalla sua amministrazione, affermano. Vero: questo è quanto venne dichiarato pubblicamente. Falso: la cifra inganna, perché a ben leggere il provvedimento i soldi stanziati per questi atenei sono solo 85 milioni di dollari.

L'interno della St. Augustine University di Raleigh. L'amministrazione Trump ha reintrodotto contributi per atenei afroamericani, ma in misura inferiore di quanto comunicato in pubblico.

L'interno della St. Augustine University di Raleigh. L'amministrazione Trump ha reintrodotto contributi per atenei afroamericani, ma in misura inferiore di quanto comunicato in pubblico.

  • RSI/Emiliano Bos

Altri numeri invece, qui in North Carolina, sono sembrano per ora meno contestabili: l’80% del milione e mezzo di afroamericani residenti in questo Stato è registrato tra gli elettori democratici. Nel 2016 nella contea di Durham Hillary Clinton ottenne il 78% dei consensi, Trump il 18%. Nessun rappresentante eletto nelle istituzioni locali di questa contea è repubblicano. Eppure a guidare il partito conservatore è un afroamericano, Immanuel Jarvis. Nel suo ufficio, accanto al ritratto di Trump e del suo vice Mike Pence giganteggia una foto in bianco e nero di Martin Luther King in occasione della celebre marcia su Washington del 1963.

Come può sostenere un presidente accusato di dichiarazioni razziste, che tra l’altro ha twittato (e poi cancellato) il video di un suprematista bianco? Nessun disagio con le dichiarazioni di Trump?

“Si, disagio verso ciò che riferiscono i mass-media”, risponde Jarvis. “Ma se ben ascoltiamo le parole di Trump nel loro contesto, no, nessun disagio”. Il presidente del partito repubblicano di Durham ammette di comprendere le ragioni del malessere diffuso tra gli afroamericani verso l’attuale occupante della Casa Bianca, soprattutto per la risposta della Casa Bianca alle manifestazioni contro le brutalità della polizia.

“Ma se guardiamo ai risultati ottenuti daTrump, al netto del rumore mediatico, sono buoni”. È ampia la conversazione con questo 44enne, che dal 2015 guida il partito conservatore in North Carolina – uno Stato dove la segregazione, il razzismo, il Ku Klux Klan e le proteste per i diritti civili hanno segnato ampie pagine di storia.

Immanuel Jarvis, 44 anni, dal 2015 è il capo del partito repubblicano nella contea di Durham in North Carolina, dove tutte le cariche elettive pubbliche sono in mano ai democratici.

Immanuel Jarvis, 44 anni, dal 2015 è il capo del partito repubblicano nella contea di Durham in North Carolina, dove tutte le cariche elettive pubbliche sono in mano ai democratici.

  • RSI/Emiliano Bos

Al punto che oggi – mi dice – lo stesso Jarvis riceve ancora insulti e attacchi proprio per essere un afroamericano conservatore. “Accade tutti i giorni: email, telefonate. I democratici si dicono contro l’intolleranza e poi sono intolleranti contro chi la pensa diversamente, cioè il sottoscritto”.

Jarvis nega le statistiche secondo cui gli afroamericani sono vittime più frequenti della violenza della polizia (fact-checking: invece è vero), sostiene che le proteste contro il razzismo siano indirizzate verso l’obiettivo sbagliato perché “il razzismo è prima di tutto dentro di noi”. Lo incalzo più volte, è costretto ad ammettere che “sì, se la polizia fermasse me e lei, il colore della mia melanina farebbe la differenza”, e che lui rischierebbe un trattamento peggiore - in quanto afroamericano – in caso di problemi con la giustizia.

Tocca a questo signore dai torni pacati, venditore di cellulari in passato e ora di immobili - cercare di attirare i voti della comunità verso Trump e i repubblicani. Impresa non facile, gli chiedo. Come “vendere” Trump e il suo questo messaggio a questa comunità, soprattutto in un territorio dove i progressisti e la sinistra sono così storicamente radicati?

“No, invece è facile. Qui sono tutti democratici, dal sindaco allo sceriffo. Negli ultimi 30-40 anni stiamo meglio? C’è meno criminalità? Le scuole sono migliorate? È aumentata la qualità della vita?”. Tutte domande con una sola risposta: No, a suo parere.

Lo sguardo incrociato tra Martin Luther King e Donald Trump nell'ufficio di Immanuel Jarvis, l'afroamericano che guida il partito repubblicano nella contea di Durham in North Carolina.

Lo sguardo incrociato tra Martin Luther King e Donald Trump nell'ufficio di Immanuel Jarvis, l'afroamericano che guida il partito repubblicano nella contea di Durham in North Carolina.

  • RSI/Emiliano Bos

L’uguaglianza razziale – conclude il capo dei repubblicani – non significa che “tutti dobbiamo avere le stesse cose”. Cita un esempio pescando tra le sue memorie liceali: “Si ricorda – mi chiede con un sorriso – quelle equazioni in cui uno dei termini era da una parte una sequenza di numeri e dall’altra, il risultato “zero?”. Eppure, gli faccio notare, gli afroamericani sono rimasti inchiodati per decenni nella parta sbagliata dell’equazione. Non basta che abbiano ottenuto spesso o quasi sempre quello “zero”? “Si, ammette stavolta, è stato così per troppo tempo. Ma nulla scalfisce il mio convinto sostegno a Donald Trump”.

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