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Tre anni dopo, una Libia frammentata

Il 17 febbraio 2011 iniziano le prime sommosse popolari, sulla scia della Primavera araba; oggi il paese è ancora fuori controllo - l'intervista al politologo Karim Mezran

  • 17.02.2014, 07:30
  • 06.06.2023, 13:34
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  • KEYSTONE

La data del 17 febbraio 2011 segna uno spartiacque per la storia della Libia. La cosiddetta Primavera araba, partita dalla Tunisia, scavalca i confini e raggiunge Bengasi. Muammar Gheddafi, salito al potere il primo settembre 1969, si trova confrontato con una vera e propria sommossa popolare che chiede a gran voce un rinnovamento politico. I malumori si fanno sempre più accesi. La rivolta si trasforma presto in guerra civile: da una parte i lealisti e dall’altra gli insorti, riuniti nel Consiglio nazionale di transizione (CNT). Il colonnello resisterà fino al 20 ottobre dello stesso anno quando viene ucciso dai ribelli del CNT.

Tre anni dopo quel 17 febbraio, il paese sembra non aver ancora digerito le forti tensioni interne, ma anzi. Come ci spiega il politologo Karim Mezran* , che abbiamo contattato telefonicamente (ascolta l’audio a lato), “sta vivendo una fase di grande confusione, con una frammentazione territoriale talmente evidente da impedire l’emergere di poteri forti”.

"Non esiste una vera identità nazionale"

Due sono i problemi principali: “Da una parte la delegittimazione del Governo e dell’Assemblea nazionale”, ci spiega Mezran, “dall’altra la mancanza di una vera e propria identità nazionale: La Libia, in tutti questi mesi, non è stata governata”.

“L’unica soluzione possibile”, continua, “è un accordo politico fra le principali componenti, accordo che però sembra difficile da raggiungere”. Per farci capire la situazione, Mezran ci fa l’esempio dell’intesa saltata solo qualche settimana fa fra islamici e non islamici che dovevano esprimersi sulla modifica della legge sull’isolamento politico, norma che impedisce di ricoprire cariche politiche a coloro che sono entrati in contatto negli ultimi 40 anni con il regime Gheddafi. Le visioni sono dicotomiche e nessuna delle due parti ha voluto scendere a compromessi: “C’è una totale mancanza di dialogo, della cultura del compromesso e della mediazione, elementi che stanno alla base della democrazia”.

Ma in questa crisi, quanto pesano le divisioni tribali? “In verità queste frammentazioni sono sovrastimante, le tribù contano fino a un certo punto, le divergenze sono soprattutto di interesse”.

Il ruolo della comunità internazionale

A tutto ciò bisogna aggiungere il ruolo assunto dalla comunità internazionale , che è concentrata più che altro sulla situazione di altre nazioni in crisi. Rimane poi il capitolo delicatissimo dell’immigrazione clandestina: archiviata l’era Gheddafi che risolveva alla sua maniera il problema con il beneplacito dei paesi “dormienti” confinanti, “ora non esiste più controllo. E’ un momento di panico”, sottolinea il politologo, “la nazione è caduta in quello che definisco una vera e propria tratta di schiavi, con la complicità a volte delle autorità. E’ uno scandalo”.

Il 6 marzo è prevista a Roma una conferenza internazionale sulla Libia. Nel comunicato stampa del convegno si può leggere che si discuterà su un paese il cui “territorio è ormai fuori controllo”.

*Karim Mezran è Senior Fellow presso il Middle East Policy Council di Washington ed è docente di studi mediorientali presso la Johns Hopkins University a Bologna e Washington.

Alessandra Spataro

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