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Trump lancia la guerra dei dazi commerciali

Alcuni post del prossimo presidente degli USA riferiti a Cina, Messico e Canada hanno mandato in fibrillazione le cancellerie di diversi Stati - Minaccia reale o strategia politica? - L’analisi di Andrea Vosti

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Trump minaccia nuovi dazi

Telegiornale 26.11.2024, 20:00

Di: SDS/TG/ATS/sdr 

A Donald Trump sono bastati un paio di post sul suo social Truth per dichiarare una nuova guerra dei dazi prima ancora di insediarsi, mandando in fibrillazione le cancellerie e l’economia del pianeta.

Nel mirino del tycoon ci sono la Cina e i due alleati nordamericani, Messico e Canada, mentre per ora l’UE e la Gran Bretagna sono stati risparmiati, anche se già cominciano a tremare. Il presidente eletto ha annunciato che il giorno stesso del giuramento, il 20 gennaio, uno dei suoi primi ordini esecutivi sarà imporre una tariffa extra del 10% su tutti i suoi prodotti cinesi finché Pechino non metterà fine al narcotraffico negli Stati Uniti, in particolare di fentanyl, dopo aver disatteso la promessa della pena di morte per i trafficanti di droga. Una tariffa che si dovrebbe aggiungere a quella del 60% già minacciata in campagna elettorale. Trump ha inoltre promesso dazi del 25% su tutta la merce proveniente da Messico e Canada finché non stopperanno non solo il flusso di stupefacenti, ma anche di migranti illegali negli USA. Anche questa una tariffa addizionale, da sommare a quella minima del 10% evocata nei mesi scorsi contro i prodotti di tutti i Paesi.

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È una minaccia realistica?

L’adozione unilaterale di dazi di questa portata, 25% sui prodotti importati da Messico e Canada, 10% su quelli cinesi, come riferito dal corrispondente della RSI dagli USA Andrea Vosti, “avrebbe un impatto sismico sulla rete degli scambi commerciali, con un inevitabile aumento dei prezzi per i consumatori americani. E questo Donald Trump non lo vuole di certo. Gli Stati Uniti importano dal Messico più del 60% dei prodotti agricoli consumati nelle case degli americani, per citare un esempio. Immaginiamo cosa significhi pagare il 25% in più per tutti questi prodotti, dagli avocadi, alla frutta alle insalate. Penso quindi che in realtà quella di Trump possa essere riassunta come la strategia del bullo”. In sostanza vi è il sospetto che annunciare tariffe doganali “punitive” sia utile non tanto per ottenere in cambio benefici economici o commerciali, quanto per strappare concessioni politiche. In particolare, uno sforzo accresciuto da parte di Messico e Cina per fermare da una parte i flussi migratori e dall’altra i flussi di fentanyl.
                

Gli Stati Uniti ne trarranno un vantaggio economico?

L’opinione condivisa dalla stragrande maggioranza degli economisti - ha spiegato ancora il giornalista della RSI - è che la precedente guerra dei dazi commerciali con Pechino abbia danneggiato e non beneficiato l’economia statunitense, oltre naturalmente ad accentuare le tensioni politiche tra le due potenze economiche. “Secondo alcune stime, spiega Vosti, la guerra delle tariffe avrebbe provocato un aumento del prezzo dei beni di consumo finali e dei beni intermedi oscillante tra il 10 e il 30%, oltre a causare la perdita di circa 300’000 posti di lavoro negli Stati Uniti. Insomma, l’adozione di dazi punitivi non ha avuto l’effetto di sostenere di promuovere la produzione domestica interna. Nella maggior parte dei casi, in particolare al settore dell’elettronica, la produzione si è semplicemente spostata dalla Cina in altri paesi asiatici. C’è poi da tenere conto del fatto che ogni misura unilaterale scatena una contromossa da parte della concorrenza. Per esempio, durante la precedente amministrazione Trump, la Cina aveva adottato misure che avevano danneggiato pesantemente il settore agricolo, in particolare le esportazioni di soia dagli Stati Uniti”. Infine, un ultimo dato: se Donald Trump pensa di ricorrere all’arma delle tariffe per correggere a proprio favore la bilancia commerciale, l’esperienza dell’ultima guerra dei dazi dovrebbe farlo desistere: Il deficit commerciale statunitense con la Cina è infatti rimasto pesantemente in negativo.

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Le reazioni internazionali

Pechino è stata la prima a reagire, ammonendo tramite la sua ambasciata a Washington che “nessuno vincerà una guerra commerciale”, nella convinzione che “la cooperazione economica e commerciale bilaterale sia reciprocamente vantaggiosa”. Il Dragone dice di restare “aperto al mantenimento del dialogo” ma respinge l’accusa di consentire consapevolmente l’ingresso di precursori del fentanyl negli Stati Uniti. La presidente del Messico Claudia Sheinbaum ha letto in una conferenza stampa la lettera che manderà a Trump, sostenendo che né le minacce né i dazi risolveranno il fenomeno della migrazione o il consumo di droga negli USA e promettendo eventuali ritorsioni tariffarie che “metterebbero a rischio le imprese comuni”.

Più cauto il premier canadese Justin Trudeau, che si è precipitato a chiamare subito il tycoon riferendo al parlamento di una telefonata “buona”, “produttiva”, e convocando per questa settimana un incontro con gli allarmati leader delle province del Paese. Del resto Ottawa è il Paese che forse rischia di più per il volume di merce esportata, a partire dal greggio (117 miliardi nel 2022).
I nuovi dazi fanno temere un’impennata dei prezzi e quindi dell’inflazione negli USA (secondo una ricerca della multinazionale Ing, potrebbero costare 2’400 dollari in più pro capite all’anno agli americani). Con ripercussioni in tutto il mondo, ancor più forti se dovessero estendersi anche all’Europa: “Non è una buona notizia”, ha ammesso martedì l’alto rappresentante UE Josep Borrell a margine del G7 di Fiuggi, prevedendo una spirale di ritorsioni che non aiuterà l’economia mondiale.

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