La grande onda
Tsunami, letteralmente “onde sul porto”, è un termine che deriva dalla lingua giapponese. Venne usato per la prima volta, stando a diverse fonti, nel 1675. In un documento nipponico viene descritto un importante terremoto seguito da un’onda anomala. Adottato internazionalmente, descrive una serie di onde provocate da movimenti tettonici sottomarini, eruzioni vulcaniche o frane. Queste onde, quando si avvicinano alle coste, sono precedute da un fenomeno di bassa marea estesa. Le onde poi aumentano di altezza, trasformandosi in veri e propri muri di acqua distruttivi.
Il 26 dicembre 2004
Era notte in Svizzera, poco prima delle due, quando un terremoto di magnitudo 9.1 sulla scala Richter viene registrato dai sismologi di tutto il mondo. Una scossa molto potente con ipocentro a ovest di Sumatra a una profondità di 30 chilometri dalla cintura di fuoco. Proprio nella zona dove la placca indiana e quella birmana si incontrano. Dura quasi dieci minuti.
Era il 26 dicembre del 2004, il giorno dopo i festeggiamenti di Natale. Le zone colpite, in particolare Indonesia e Thailandia, sono popolate anche da molti turisti che hanno scelto queste mete per passare le festività. Nessuno immagina cosa sarebbe accaduto poco dopo. Dal momento in cui viene registrata la prima scossa a quando le prime onde raggiungono le coste più vicine, passano 15 minuti. Ma le onde continueranno a viaggiare nell’Oceano indiano fino a raggiungere, sei ore dopo, anche la costa orientale dell’Africa.
I sopravvissuti raccontano che, prima dell’arrivo delle onde anomale, il mare si è lentamente ritirato, lasciando spazio a spiagge ampissime, con i pesci, che privati del loro habitat naturale, saltavano convulsamente sulla battigia. In molti, catalizzati dallo spettacolo non si sono mossi, in attesa di capire cosa stesse succedendo. Chi si è salvato o ha avuto molta fortuna o semplicemente ha iniziato a correre lontano dalla riva.
Il mare è poi prepotentemente apparso sotto forma di un muro d’acqua che ha raggiunto e superato in alcuni punti i dieci metri di altezza (si parla di anche di 30 metri). Una trappola d’acqua che ha travolto tutto: imbarcazioni, negozi e stabilimenti balneari, auto, hotel con vista sul mare. I paesaggi da cartolina di diverse zone turistiche si sono trasformati in poco tempo in un ammasso di detriti e fango.
I paesi più colpiti furono Indonesia, Thailandia e Sri Lanka. In totale ci furono 230’000 morti e circa un milione e mezzo di sfollati. Una catastrofe. Le vittime svizzere furono 113, tra cui anche dei bambini.
Vittime svizzere dello tsunami
RSI Info 27.12.2004, 00:00
Io, sopravvissuta
Mary e Giancarlo Pina hanno vissuto in prima persona quella giornata. Ticinesi, si trovavano da quasi un mese a Phuket in vacanza. Erano non lontano dalla spiaggia, nell’officina in cui avevano noleggiato i loro motorini quando il mare ha iniziato a ritirarsi. Nessuno sapeva per quale motivo.
“Andava indietro e poi tornava”, ci racconta a distanza di 20 anni Mary Pina, “e lo ha fatto diverse volte. I bambini andavano sulla spiaggia per cercare di salvare i pesci e ributtarli in acqua”. Ad un tratto però quel gioco di andirivieni si spezza e si trasforma in un vero e proprio muro d’acqua, “Sembrava come in quelle immagini dei cartoni animati”, continua Mary, che incontriamo nella sua casa di Morcote. Entrambi vengono travolti, spinti verso l’interno dall’acqua, ma non inghiottiti. Sia Mary sia “Gianchi”, come lo chiama lei, riescono ad aggrapparsi a un’auto. La loro salvezza. Il veicolo fa da ariete all’entrata di un hotel. Il caso, il destino, permette a entrambi di ritrovarsi insieme dopo qualche minuto sani e salvi all’interno della struttura. Entrambi vivi, solo con qualche grafietto. Lei su un muretto, lui in un armadio. Sotto ai loro piedi la devastazione.
Tsunami 2004 - Io, sopravvissuta: la storia di Mary Pina
RSI Info 20.12.2024, 21:43
La ricerca dei dispersi
Mary e Giancarlo Pina, come molti altri sopravvissuti, contattano subito i loro familiari. Le notizie legate allo tsunami diventano velocemente l’apertura di telegiornali e radiogiornali. Nelle prime ore è difficile capire l’ampiezza di ciò che è successo: molte zone sono inaccessibili, scollegate, senza la possibilità di comunicazione. Vent’anni fa, l’uso di telefonini era meno diffuso di oggi. Facebook sarebbe nato qualche mese dopo. Era un altro mondo: più lento, meno condiviso, più distante. E quindi bisogna aspettare per capire cosa sia realmente successo.
I primi reporter che riescono a raggiungere le zone maggiormente danneggiate parlano con termini apocalittici: non c’è più nulla. Ed è così per Banda Aceh in Indonesia, per una parte di Phuket e soprattutto per Khao Lak in Thailandia, per le città meridionali srilankesi di Galle e Matara. Le onde si ritirano e lasciano solo frammenti di umanità. Strade spezzate, vite spezzate, città e villaggi scomparsi. Lentamente il quadro della situazione si fa più nitido e parallelamente alla macchina dei soccorsi, come vedremo tra poco, parte la ricerca dei dispersi. Una ricerca fatta di foto, cartelli, numeri di telefono, database. Un lavoro reso ancora più difficile perché molte persone, e soprattutto turisti, erano in giro in costume, senza i documenti addosso. Moltissime le storie di chi, non è mai più tornato a casa.
Ticinesi sopravvissuti a Phuket
RSI Info 28.12.2004, 00:00
La macchina dei soccorsi
Parlavamo dei soccorsi: subito scattati localmente, ma non sufficienti per gestire l’ampiezza della devastazione: c’era da cercare i dispersi, soccorrere i feriti, assistere gli sfollati e parliamo di decine di milioni di persone e poi c’erano da ripristinare i servizi di base. Impossibile, per i paesi coinvolti affrontare una situazione così complessa da soli. E così vengono attivati subito gli aiuti internazionali. Viene stimato che tra aiuti pubblici e privati furono raccolti un miliardo e mezzo di franchi.
Un grande slancio dalla Svizzera
In prima linea anche la Svizzera che inviò subito esperti, anche dal Ticino (video archivio). L’aiuto umanitario della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) si è concentrato su tre paesi: Sri Lanka, Indonesia e Thailandia. Le promesse di donazioni private e pubbliche raggiunsero i 300 milioni di franchi. Uno slancio importante di solidarietà per un evento che ha scosso profondamente le sensibilità di molti. La DSC ha destinato da parte sua 35 milioni di franchi alle operazioni di emergenza e nei programmi di ricostruzione. In totale sono stati mobilitati d’urgenza 48 membri del Corpo svizzero di aiuto umanitario (CSA). Interventi mirati hanno permesso l’installazione di rifugi temporanei e di sistemi di distribuzione d’acqua potabile provvisori, assistenza medica di base, approvvigionamenti di medicinali e, importantissimo, la logistica umanitaria per la distribuzione di aiuti. Dalla Svizzera inoltre sono partite per l’Indonesia numerose tonnellate di materiale di assistenza.
Aiuti internazionali a Banda Aceh
RSI Info 26.02.2005, 00:00
I progetti svizzeri
La Svizzera, dopo i primi soccorsi di emergenza, si è impegnata anche in progetti a lungo termine. I lavori sono iniziati nella primavera del 2005 con l’obiettivo di ripristinare strutture di prima necessità. Coordinandosi con le autorità locali, sono così stati realizzati programmi a medio e lungo termine. Gli ultimi progetti si sono conclusi nel 2007.
In Sri Lanka, dove sono stati registrati 35’000 morti, sono state ricostruite o riparate 10’500 abitazioni e 18 scuole nel sud e nell’ovest del paese. Lo Sri Lanka, già fragilizzato dagli scontri tra Governo e ribelli tamil, ha beneficiato di quasi il 40% delle donazioni raccolte in Svizzera. Molte costruzioni inoltre sono state ricollocate in zone sicure, lontane dalle coste. Dopo una nuova fase di conflitti che ha colpito il nord del paese, la DSC ha lanciato un nuovo programma di ricostruzione. A Banda Aceh, nel nord-ovest dell’Indonesia, gli aiuti si sono concentrati nel ripristino dei principali impianti di trattamento delle acque. Un progetto portato a termine nel 2007. In Thailandia invece le attenzioni si sono concentrate nel ripristinare infrastrutture, mezzi di sussistenza e di produzione delle comunità dei pescatori a Ko Pra Thong, Ko Kho Khao e Ko Ra, nel sud-est. Inoltre, centinaia di persone hanno ricevuto nuove barche da pesca.
A dieci anni dallo tsunami
RSI Info 22.12.2014, 00:00
L’allerta tsunami
Lo tsunami del 26 dicembre di 20 anni fa mise in evidenza la mancanza di sistemi di allerta e la poca consapevolezza delle popolazioni che vivono lungo le coste di questa possibile minaccia. Per questo motivo, nel gennaio del 2005 venne istituito dalle Nazioni Unite l’“Indian Ocean Tsunami Warning System”, un sistema di allerta per gli tsunami. Questo sistema prevede sismografi terresti e sottomarini, boe tecnologiche e centri di sorveglianza, 26 in totale, attivi sempre per lanciare le eventuali allerte. Se il sistema rileva onde anomale viene lanciato un segnale di avvertimento ai paesi interessati che poi a loro volta emanano direttive di evacuazione. Queste possono avvenire attraverso altoparlanti, ne sono stati posizionati sulle spiagge, messaggi, diffusione attraverso radio e televisione. Un sistema analogo esisteva già alle Hawaii, se fosse stato presente allora nelle zone colpite dalle onde anomale, molto probabilmente le vittime sarebbero state molte meno. Subito dopo il maremoto le autorità hanno iniziato una campagna di sensibilizzazione, anche nelle scuole, su come agire in caso di emergenza.
I piccoli sopravvissuti dello tsunami
RSI Info 24.12.2014, 00:00
“Non ho paura dell’acqua”
Lo tsunami del 2004 rientra in uno di quegli eventi che sanciscono storicamente un prima e un dopo. Una prima e un dopo a livello globale, locale, ma anche personale. Chi è stato testimone diretto e indiretto di quella tragedia non ha potuto dimenticare. E alla luce degli oltre 230’000 morti, è sorprendente parlare con chi è sopravvissuto. Grazie al racconto di Mary Pina abbiamo potuto quasi vivere in prima persona quel 26 dicembre di 20 anni fa. Mary, non ha dimenticato nulla, come se il tempo, pur fluendo, si fosse fermato. La sua è una testimonianza di resilienza e di tenacia. Dopo lo tsunami, ci ha raccontato, ha voluto subito tornare al mare, il giorno dopo. Non ha più fatto immersioni, quelle no, ma ha continuato a nuotare, “perché l’acqua”, spiega, quasi inspiegabilmente “non mi ha mai fatto paura”.
20 anni dopo: il reportage di Falò
In occasione dell’anniversario, anche la trasmissione di inchiesta e approfondimento Falò ha dedicato un reportage allo Tsunami di vent’anni fa. Loretta Dalpozzo, nel suo servizio, è tornata su alcuni luoghi simbolo del disastro, in Indonesia e Thailandia, per raccontare storie di resilienza, di memoria e di trasformazione. Le testimonianze di alcuni sopravvissuti, che la televisione svizzera aveva incontrato subito dopo la catastrofe, permettono di riflettere sui traumi, sull’impatto degli aiuti internazionali, sul ruolo della saggezza locale e sugli insegnamenti appresi in seguito al tremendo maremoto.
Tsunami, vent'anni dopo
Falò 17.12.2024, 21:20