Il partito popolare repubblicano (CHP), la principale formazione di opposizione in Turchia, manterrà il controllo di Ankara e Istanbul, conquistate cinque anni fa: è fallito il tentativo del presidente Recep Tayyip Erdogan, di riprendersi la capitale e la principale città del Paese. I risultati delle elezioni locali lo indicano ormai chiaramente. Ma c’è dell’altro: l’opposizione, uscita demoralizzata e divisa dalla sconfitta alle presidenziali di appena un anno fa, avanza in molte delle 81 province e potrebbe finire per guidarne 36. Il partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) di Erdogan rimane forte nelle zone rurali e in particolare nell’Anatolia centrale.
Il voto leader del CHP Ozgur Ozel parla già di un risultato storico: “Gli elettori hanno scelto di cambiare il volto della Turchia, c’è un nuovo clima politico nel nostro Paese”. Forse c’è un po’ di esagerazione, ma è vero che il voto era visto da molti come un referendum sulla popolarità di Erdogan, 70 anni, da oltre venti al potere: dal 2003 come primo ministro e dal 2014 come presidente.
Un leader sempre più conservatore e autoritario con nessuna intenzione di lasciare le redini, anzi: non è un segreto il suo desiderio di cambiare la Costituzione per seppellire la vecchia repubblica laica e kemalista in favore di un nuovo impianto giuridico che metta al centro i valori della famiglia e della tradizione (religiosa) uniti al nazionalismo. Una Costituzione che gli permetterebbe inoltre di candidarsi per un altro mandato. Ma se il sentimento dell’opinione pubblica è quello che emerge dalle urne di oggi, il progetto di strappare deputati agli altri partiti per ottenere la necessaria super-maggioranza in Parlamento si fa difficilmente realizzabile.
Un nuovo parito religioso
Tra le novità di questo voto c’è l’affermarsi di una nuova formazione religiosa conservatrice, il partito del nuovo benessere (YRP) che sembra avere pescato nello stesso bacino dell’AKP. Si tratta di persone che condividono le idee di Erdogan ma sono insoddisfatte per la sua gestione dell’economia e soprattutto per l’inflazione galoppante. Erdogan persiste tra l’altro nel perseguire una politica di bassi tassi di interesse, quando la logica economica imporrebbe di alzarli; per questo numerosi governatori della banca centrale sono stati destituiti o si sono dimessi.
Grandi manovre, ma la strada è lunga
Sono andati bene sia il partito nazionalista IYI che il partito pro-curdo per l’eguaglianza e la democrazia, ma in passato Erdogan ha destituito non pochi sindaci delle minoranza curda accusandoli di legami con il terrorismo.
L’alleanza tra le opposizioni che era andata in pezzi l’anno scorso - quando né la crisi economica, né il terremoto erano bastati per sconfiggere Erdogan - ora potrebbe ricostituirsi intorno al sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu. Nella città sul Bosforo vivono oltre 15 dei quasi 85 milioni di cittadini turchi. Ma la strada per le elezioni presidenziali del 2028 è ancora lunga.
Elezioni amministrative in Turchia
Telegiornale 31.03.2024, 20:00