“Quando ho sentito la notizia dei sei alpinisti che sono rimasti su alla Tête Blanche mi è gelato il sangue di nuovo... L’avevo gelato quando mi hanno ritrovato”. Così Luciano Cattori ricorda la sua esperienza di sopravvissuto.
Sono le prime ore del mattino del 30 aprile 2018. A poche centinaia di metri dal rifugio Vignettes, sulla Pigne d’Arolla, Luciano Cattori ha 26 gradi di ipotermia e cinque battiti cardiaci al minuto. Ma è vivo. Mentre sette suoi compagni di avventura non sono sopravvissuti alla notte. “Siamo partiti il mattino sapendo già che il tempo al pomeriggio si sarebbe guastato. Però, siccome il percorso non era così lungo, abbiamo pensato di andare comunque e di rifugiarci in capanna”. Ma dopo qualche ora, quando sono sul ghiacciaio, a oltre 3’000 metri, una bufera li sorprende.
“Non si vede più niente... vento fortissimo che ci butta per terra... E praticamente, a quel punto abbiamo perso la cognizione di dove eravamo”. Luciano e i suoi compagni camminano, disorientati, per alcune ore. Poi fortunatamente riescono ad arrivare nei pressi della capanna che volevano raggiungere. “Però, dove eravamo era troppo ripido, non si poteva scendere. C’erano dei seracchi a sinistra, delle rocce a destra. E allora, arriviamo su questo terrazzo e la guida ci dice: ci fermiamo qua”.
Si sta facendo buio. E Luciano lo sa benissimo. Sopravvivere un’intera notte in quelle condizioni è pressoché impossibile. La cosa peggiore è addormentarsi. Non ci si sveglierebbe più. E allora, insieme a due compagni, fa di tutto per muoversi e non cedere al sonno. “All’inizio c’erano questi lamenti, era proprio una cosa terribile. Poi a un certo momento, con il passare del tempo, si è placato tutto... e si sentiva solo il vento...”
Oggi Luciano ha 78 anni. E non ha smesso di scalare montagne. Nemmeno quelle vallesane, dove è tornato, con il figlio, già due anni dopo la tragedia.
Vallese, morti cinque dei sei escursionisti
Telegiornale 11.03.2024, 20:00