Svedese uno, tedesco l’altro. H&M e C&A hanno democratizzato la moda. Ma cosa compriamo quando paghiamo poco? Test, analisi di laboratorio, esperti, consumatori. Patti chiari indaga su due marchi della fast fashion, la moda a prezzi convenienti, la moda dell’usa e getta, che fa discutere.
Stile e assortimento: prevale H&M
Il marchio svedese ha un assortimento molto più vasto che accontenta più clienti. Cercate un jeans da donna? Sul suo sito trovate oltre 800 articoli, contro i 350 circa di C&A. Grazie alla diversificazione dei suoi prodotti, H&M si può così permettere uno stile più modaiolo, spiega Valeria Gilardi della Scuola specializzata superiore di abbigliamento e design della moda (STA) di Viganello.
Prezzi e qualità: C&A si distingue
Patti chiari ha acquistato 20 capi di abbigliamento confrontabili di H&M e altrettanti di C&A: vestiti e accessori per donna, uomo e bambino. Diversi prodotti hanno lo stesso identico prezzo. Complessivamente però lo scontrino di H&M è di 511 franchi, quello di C&A si ferma a 485, il 5% in meno. Il brand tedesco è quindi più conveniente. C&A supera anche la prova del lavaggio. La sua T-shirt si restringe molto meno di quella di H&M, che si rimpicciolisce di un paio di taglie dopo un solo lavaggio. La buona notizia è che nelle t-shirt per bambini di entrambi i marchi non sono state trovato sostanze chimiche o pericolose. I controlli per ridurre i rischi sono sempre più frequenti, sottolinea Letizia Bregola del laboratorio Centrocot.
I risultati della sfida tra H&M e C&A
Consulenza, sartorialità e trasparenza
In questi tre ambiti H&M e C&A si equivalgono nel bene e nel male. In negozio la consulenza alla clientela è stata all’altezza delle aspettative.
Diverse invece le pecche nella modellistica e nella lavorazione dei capi. Imperfezioni che non sono sfuggite all’occhio attento di Roberto Calzolaro, docente di tecniche di produzione industriale alla STA. Fili aggrovigliati, sbordature, difetti nelle cuciture, errori che rendono l’abbigliamento a basso costo poco curato.
Ma non è tutto. C&A e H&M sono avari d’informazioni. Non hanno risposto alle domande di Patti chiari sui volumi di produzione, l’origine dei tessili, i salari dei lavoratori, la fine riservata agli indumenti invenduti, ecc. Un comportamento deludente.
Indice di trasparenza della moda 2023 di Fashion Revolution
Eppure sono nella top ten, praticamente alla pari, dell’Indice di trasparenza 2023 di Fashion Revolution, l’organizzazione internazionale che chiede una moda etica e sostenibile e che ogni anno mette sotto torchio 250 marchi, anche del lusso. Per il consumatore la ricerca d’informazioni sui capi che indossa resta comunque un’impresa. L’etichetta non dice tutto anche se sempre più spesso è verde, perché il verde fa vendere ed è un potente strumento di marketing.
Il verdetto
La sfida tra H&M e C&A si conclude in parità: 5 a 5. Un risultato che lascia aperti molti interrogativi. Per esempio la sostenibilità ambientale e sociale, sbandierata ai quattro venti sui siti dei due marchi. Tutto vero? Secondo Isabela Gygax, di Fashion Revolution Svizzera, anche ammettendo che sia tutto vero, i due marchi continuano a produrre troppo e questo modello di business non può essere considerato sostenibile. E poi: che fine fanno gli abiti usati che si possono consegnare in negozio? H&M e C&A gli danno davvero una seconda vita come promettono? Grazie a dei dispositivi nascosti in due blazer, Patti chiari ha seguito a distanza gli spostamenti delle giacche. Settimane ferme nei depositi, trasporti chilometrici da un paese all’altro. Quella che sembra una bella idea per riciclare i vestiti, si trasforma in un viaggio infinito, dando al consumatore l’illusione di aver aiutato l’ambiente. In cambio di cosa? Di un buono sconto per ulteriori acquisti. A prezzi stracciati.
Per approfondire
L’industria tessile svizzera si è data degli obiettivi di sostenibilità, li trovi qui: Sustainable Textiles Switzerland 2030