Alice

Tra personale e politico

“Il dio dei boschi”, “La geografia del danno”, “Certe sere Pablo”

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Di: Michele Serra 

Qualcuno le chiama grandi famiglie: sono quelle che hanno accumulato, e mantenuto nel corso di generazioni, ricchezza e potere. Esistono un po’ dappertutto, ma quelle americane sono le più note, almeno nel mondo occidentale. Rockefeller, Kennedy, DuPont: i nomi li conosciamo. Così, non stupisce che proprio una scrittrice americana abbia messo una famiglia che somiglia da vicino a quelle citate al centro del suo nuovo romanzo. E non stupisce che Il dio dei boschi (NN Editore) di Liz Moore sia andato incontro a un grande successo proprio negli Stati Uniti: un corposo mistery ambientato negli anni Settanta che ha conquistato i lettori, e ha ricevuto endorsement piuttosto importanti, primo tra tutti quello dell’ex-presidente Barack Obama.
Una famiglia non grande in senso socioeconomico – ma certamente estesa, tentacolare, e con una storia che abbraccia tre continenti – è invece quella di Andrea De Carlo, grande narratore italiano che non ha più bisogno di presentazioni almeno dal successo di Due di due, nel lontano 1989.
Il suo ultimo La geografia del danno (La nave di Teseo), fatto raro nella produzione di De Carlo, lascia perdere la fiction per immergersi in un’indagine che lo porta a scoprire la storia, taciuta per decenni, di sua nonna e del ramo sudamericano della sua famiglia. Un libro pieno di domande, che prova a capire quanto le nostre radici ci condizionino, che lo vogliamo o no.
Un racconto vero, che parla di personaggi reali, eppure si legge come un romanzo.
E a proposito di forma, quello di Gabriele Pedullà – professore, critico, scrittore romano – è un libro raro nel panorama editoriale italiano, proprio per il semplice motivo che è una raccolta di racconti. Dicono spesso gli editori che vendere le short stories al pubblico sia affare complicato, ma a leggere queste, risulta difficile da credere: i tre racconti contenuti in Certe sere Pablo (Einaudi) sono perfetti per sintesi, incisività emotiva e – soprattutto – per il divertimento che riescono a regalare al lettore. Insieme, compongono una riflessione dolceamara sul significato dell’impegno politico nell’ultimo mezzo secolo, tra ragazzini troppo in ritardo per fare la rivoluzione e vecchi sessantottini che hanno portato al potere un po’ troppa immaginazione.

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