L’Inter di Herrera: Sarti, Burgnich, Facchetti; Bedin, Guarneri, Picchi; Jair, Mazzola, Peirò, Suárez, Corso.
La Juventus degli anni ’80: Zoff, Gentile, Cabrini; Bonini, Brio, Scirea; Bettega, Tardelli, Rossi, Platini, Boniek.
Il Brasile campione del mondo nel ’58: Gilmar, Djalma Santos, Nilton Santos; Orlando, Zito, Bellini; Garrincha, Didì, Vavà, Pelé, Zagalo.
Non sono formazioni, sono filastrocche, anzi poesie, che ogni vero calciofilo sa recitare a memoria. Ma se domandassimo a un appassionato di elencarci i titolari dell’Argentina che vinse i mondiali nel 1986, la risposta inevitabilmente sarebbe: Maradona più altri dieci. Pazienza per il povero Cuciuffo, terzino destro, per l’umile Olarticoechea, terzino sinistro, e per tanti altri, più fabbri che artisti, ma di sicuro si farebbe torto a un giocatore di livello internazionale, l’attaccante del Real Madrid Jorge Valdano. Non è uno qualsiasi, e non soltanto per le doti pedatorie: a differenza di gran parte dei suoi colleghi, nel tempo libero, durante i ritiri, nelle pause forzate dovute agli infortuni Valdano legge. Avidamente, liberamente, con godimento. Non è difficile sorprenderlo con un libro in mano: i racconti di Borges e di Osvaldo Soriano, le poesie di Mario Benedetti e di Rafael Alberti, i romanzi di Vázquez Montalban, Vargas Llosa e Camus, i diari di Montherlant, i saggi di Johan Huizinga. E quando appende le scarpe al chiodo Valdano comincia a scrivere. Non le solite memorie ad uso dei vecchi tifosi, ma ironiche riflessioni sul calcio, in cui veste i panni del mendicante di bel gioco, dell’hidalgo attaccato ai sogni di bambino (perché ogni volta che respira l’odore dell’erba, gli ritorna addosso l’infanzia), del moralista seicentesco che procede per salti e sgambetti, come Montaigne, ma preferisce la concisione, la pennellata, la stoccata, come La Rochefoucauld. Lo anima l’intenzione di coprire un vuoto, di essere per il calcio quello che Hemingway fu per i tori. E poco importa se nelle torri d’avorio delle accademie si ritenga di buon gusto la presunzione di ignoranza in materia calcistica, come se il pallone potesse mandare in pezzi i delicati vasi di porcellana della cultura. Difficile dare torto a Valdano, quando scrive: “Se il calcio esiste e dalla sua origine silvestre è stato innalzato al rango di cerimonia; se la sua forza è centenaria e ha il potere integratore delle cause universali; se è strumento di comunicazione della strada e mette in mostra talenti illetterati; se serve, insomma, al niente affatto disprezzabile processo di creazione dell’allegria e dell’emozione, allora lasciate che il pensiero sia ampio e non abbiate paura di ammetterlo”. E l’ampio pensiero di Valdano, facendo leva su una lunga esperienza di centravanti, allenatore e dirigente, gli permette radiografie definitive come sentenze, diagnosi, epigrafi. Su Johan Cruijff: “Dire che giocava come un dio è solo una parte della verità: quello che faceva, in realtà, era comandare le partite. Influiva sui compagni, sugli avversari, sull’arbitro, sui giornalisti, sul pubblico, sul pallone, sulle bandierine del corner e perfino sui venditori di Coca-Cola. Su Fabio Capello: “Credo che se lo abbandonassimo per un anno in una caverna piena di serpenti, al ritorno lo troveremmo sano e salvo”. Sull’eterno difensivismo del calcio italiano: “Prima o poi l’allenatore italiano avrà pietà del cavaliere solitario che schiera in avanti e gli metterà vicino qualcuno a fargli compagnia: un cane, un gatto, un canarino”. Sul calcio moderno, oggetto di studi, analisi, codificazioni che ne corrodono l’aspetto felice, libero e creativo: “È un gioco bellissimo che i mediocri vogliono imbruttire nel nome del pragmatismo ed è un gioco primitivo che i rivoluzionari vogliono violare attraverso metodi ad ogni costo scientifici”. Un gioco che mette in combustione nello spazio chiuso dello stadio tutte le tare della civiltà e tutte le forze della personalità: religione, nazionalità, sangue, rancori, politica, rappresaglie, aneliti di successo, amori frustrati, odio, tutto nei limiti del delirio in una fusa massa ardente. “È l’uomo”, ci ricorda Valdano, “nella rappresentazione della sua angoscia, anche se paga il biglietto per riuscire a scapparne”.
Scopri la serie
https://www.rsi.ch/s/703995