"Bella Ciao", di Jacopo Tomatis (Bloomsbury Academic 2023).
L’editore angloamericano Bloomsbury pubblica da anni una collana intitolata "33 1/3". Il numero indica, lo si intuisce, la velocità di rotazione degli LP (secondo la denominazione britannica) o album (negli USA), e suggerisce che la collana comprenda volumi monografici intorno ad album per qualche ragione “storici”, importanti. Dopo aver avviato la serie con libri su classici della popular music, prevalentemente appartenenti al mainstream anglofono, l’editore ha aperto delle sottosezioni, ciascuna con un curatore specifico, dedicate ad altri mondi musicali: il Giappone, il Brasile, l’Oceania, l’Europa. In quest’ultima sezione, curata da Fabian Holt, esce ora il volume dedicato a "Bella Ciao", scritto da Jacopo Tomatis, docente di popular music ed etnomusicologia all’Università dia Torino.
Nel capitolo introduttivo Tomatis spiega che inevitabilmente il riferimento è all’album pubblicato nel 1965 dai Dischi del Sole, ma anche all’ormai famosissima canzone e allo spettacolo dallo stesso titolo presentato nel 1964 al Festival dei Due Mondi di Spoleto, del quale l’album è una versione parziale, registrata in studio.
Sulla vicenda della canzone e dello spettacolo esistono altre testimonianze e ricostruzioni, ma l’ampiezza e il dettaglio del racconto e dell’analisi di Tomatis, estese al disco e al rapporto fra lo spettacolo del Nuovo Canzoniere Italiano e la scena contemporanea della popular music e dei folk revival internazionali, fanno di questo libro un punto di svolta in un dibattito lungo e spesso farraginoso. La “storia” di “Bella ciao” (la canzone) è stata, fino a tempi recentissimi, l’oggetto di approssimazioni e falsificazioni intollerabili. Eppure esistono resoconti seri e precisi, da quelli di Cesare Bermani (studioso, membro del Nuovo Canzoniere Italiano), a quello, agile e puntuale, di Carlo Pestelli (studioso e cantautore). Ma i falsificatori evidentemente non leggono questi e altri contributi, e preferiscono riferirsi a una tradizione di bufale, perfino negli articoli pubblicati in occasione del 25 aprile su quotidiani altrimenti autorevoli, con la pretesa di raccontare “la vera storia di ‘Bella ciao’”. È stato scritto che la canzone non è mai stata cantata durante la Resistenza (falso); che la canzone derivava da un altro brano precedente, con lo stesso titolo, incentrato sul duro lavoro delle mondine (falso); per non dire dell’accusa che la canzone sia “divisiva” e perpetui un antifascismo di maniera, quando il testo (un caso quasi unico nelle canzoni-bandiera della Resistenza) non compare nemmeno la parola “fascista”, e accenna esplicitamente a un “invasor”, che altro non può essere che l’esercito nazista.
Ma ci sono anche strane fissazioni e dimenticanze nella narrazione da parte dei protagonisti: gli autori e gli interpreti dello spettacolo di Spoleto, gli studiosi e gli ideologi del folk revival italiano, i sostenitori dell’equazione canto popolare=opposizione politica. Tomatis si districa bene in questo ginepraio, al rischio di suscitare qualche antipatia. Smontare l’ideologia non sempre risulta gradito, anche se rafforza l’autorevolezza.
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