Molti si chiedono, e a ragione, da cosa nasca la crescita costante del favore di cui gode, da alcuni decenni a questa parte, l’opera “barocca”. Un genere che dopo essere stato per decenni appannaggio del mondo anglosassone, in virtù di un genius loci quale George Frideric Händel, ha via via sfondato tutte le frontiere geografiche. Le ragioni sono sicuramente molteplici e tutte molto opinabili. Quel che è certo è che il mercato globale dell’opera ha una fame insaziabile di novità. Una fame che i compositori di oggi, volenti o nolenti, non possono soddisfare, a fronte di un grande o grandissimo repertorio sempre più esausto. È un appetito non solo di titoli, ma anche o forse soprattutto di interpreti, artisti da lanciare sul mercato e possibilmente “brandizzare”, in una competizione fra “ugole”, nei cui territori, da secoli, sembra proprio che non tramonti mai il sole. Ed è qui che si innesta uno dei fenomeni più appariscenti della vita musicale degli ultimi anni: il proliferare dei cosiddetti controtenori, contraltisti e sopranisti che davvero sui palcoscenici di mezzo mondo danno vita a una competizione senza respiro. Entusiasmante, sì, ma solo a tratti, e qualche punto interrogativo è d’obbligo.
Grazie a quell’instancabile fucina musicale e teatrale che è l’Accademia Bizantina di Ottavio Dantone, proprio di Handel si rappresenta in queste settimane in alcuni teatri italiani, con una puntata all’estero, Giulio Cesare in Egitto (per gli amici Giulio Cesare e stop). Quest’opera, che debuttò a Londra il 20 febbraio di 201 anni fa, non è solo uno dei capolavori di Händel e, di conseguenza, un vertice assoluto dell’opera del primo Settecento. Per varie ragioni è anche un compendio, delle luci e di qualche ombra, di questa che si può considerare ormai come una vera e propria fase storica della ricezione operistica. L’abbiamo ascoltata al Teatro Comunale di Modena nei giorni scorsi.
Scopri la serie
https://www.rsi.ch/s/703722