È morto a 84 anni Gianni Celati, nella notte tra il 2 e il 3 gennaio di questo inizio 2022. È scomparso a Brighton, dove viveva da anni insieme alla moglie.
Il suo ultimo grande lavoro è stata la traduzione dell'Ulisse, pubblicata nel 2013 da Einaudi e dalla quale partiva questa intervista realizzata in occasione di una sua visita a Lugano.
L’Ulisse è un libro che tutti conoscono e in pochi hanno letto: basti ricordare che lo stesso Ernest Hemingway, che ne fu uno strenuo difensore al tempo in cui gli Stati Uniti l’avevano messo al bando per oscenità, confessò di non essere mai andato oltre i primi capitoli…
L’autore delle "Comiche", "Verso la Foce", "Cinema Naturale", "Vite di pascolanti", e di molti altri testi di narrativa e saggistica, non era nuovo alla traduzione: il pubblico italofono ha probabilmente letto le sue versioni di Jonathan Swift, Jack London, Herman Melville, Georges Perec, Stendhal… Ciononostante quando Gianni Celati parlava di questo suo ultimo lavoro non poteva nascondere quanto l’impresa fosse stata defatigante: anni di studio e di ricerche chino su dizionari e testi d’epoca gli avevano creato seri problemi alla vista.
Ma già dalle prime pagine il lettore ha l’impressione che ne valesse la pena: c’è un Joyce fresco e nuovo che emerge dalle righe, un Joyce musicale e -ed ecco il tocco di Celati- un Joyce quasi cinematografico.
Scrittore sempre originale, eterno camminatore ed esploratore delle parole, un po’ alla ricerca e un po’ in fuga, chiudeva il suo “Verso la foce”, del 1989, con queste parole: “Ogni fenomeno è in sé sereno. Chiama le cose perché restino con te fino all’ultimo”.
Una lunga conversazione che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, di come questo grande intellettuale non abbia mai smesso di “chiamare le cose”. E di chiamarle anche per noi.
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