Oggi, la storia
Venerdì 20 novembre 2015 - 07:05
In questi giorni di acceso dibattito intorno agli attentati di Parigi si sentono, ancorché nella ridda di commenti contradditori e tra le chiacchiere da bar, ripetuti e vibranti appelli al dialogo e alla pace. Qualcuno ha evocato un celebre emistichio latino che suona così: cedant arma togae, «le armi lascino spazio alla toga». Questa celebre metafora, che ha assunto un valore gnomico, di sentenza universale (di aforisma, insomma) è da attribuire a Marco Tullio Cicerone: si tratta della prima metà di un esametro del poemetto autocelebrativo intitolato De consolatu suo, che nella sua interezza così si esprime: cèdant àrma togaè, concèdat làurea làudi «cedano le armi alla toga ed alla fama ceda l’alloro [militare]». Per lo più citata al di fuori del suo contesto, l’esortazione ciceroniana sembra ammiccare in direzione di un pacifismo ecumenico che sosterrebbe, per dirla con una metafora più moderna, la necessità di sostituire la spada con il diritto, il governo militare con quello civile, la guerra con la diplomazia. La punta della spada con la toga del magistrato, per l’appunto.
In realtà Cicerone scrisse quel verso – peraltro sbeffeggiato da alcuni suoi contemporanei – per celebrare il suo consolato (quello del 63 a.C.), durante il quale egli sventò il tentativo di colpo di stato degli eversori catilinari e ripristinò la pax civilis. Già Alessandro Manzoni conosceva il valore sentenzioso della frase, tanto che nel cap. XIII dei Promessi sposi la face pronunciare al gran cancelliere Ferrer, tronfio per aver salvato con la “diplomazia” il vicario di provvisione dal linciaggio della folla inferocita. Ma la chiave ermeneutica migliore per riattualizzare il cedant arma togae, è forse quella di ritornare a Cicerone medesimo, il quale ebbe modo di commentare questa espressione nella Seconda filippica e nel De officiis. Proprio in quest’ultima opera, un trattato in tre libri “sui doveri”, scrisse: «Non è forse vero che, quando io reggevo il timone dello Stato, le armi cedettero alla toga? Mai lo Stato corse più grave pericolo e mai godette di pace più sicura. Con tanta prontezza, in virtù dei miei provvedimenti e della mia vigilanza, le armi caddero da sole dalle mani dei cittadini più temerari. Quali così grandi imprese, dunque, furono mai compiute in guerra? Quale trionfo militare può essere portato a paragone?».
Ecco, è forse questa la cifra più interessante insita nella retorica ciceroniana, confezionata ad hoc per la smania citazionista dell’uomo contemporaneo, cioè una semplice domanda: esiste forse uno instrumentum regni che sia migliore della legge?