Oggi, la storia

Iconoclastie antiche e moderne

di Alessandro Stroppa

  • 01.05.2015, 09:05
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Buddah Bamiyan demolito, Afghanistan

  • Keystone

I recenti fatti avvenuti al Museo archeologico di Mosul, che hanno visto l’aggressione a colpi di mazza di antichi capolavori dell’arte antica, nella splendida capitale assira di Ninive, ha riportato alla ribalta delle cronache il tema dell’iconoclastia. La memoria di molti è rapidamente corsa al 2001, quando la furia distruttrice dei Talebani aggredì le statue colossali dei Buddha di Bamiyan, rintracciando un fil rouge che collega, nella storia del passato, i movimenti iconoclasti alla volontà di distruggere la memoria di una civiltà annientando le immagini che in qualche modo l’hanno rappresentata in modo significativo.

Il termine “iconoclastia” in effetti parla chiaro: si compone delle parole greche eikón, “immagine”, e kláō, “rompere”, “spezzare”, e vale quindi a “distruzione delle immagini”. Il movimento iconoclasta, com’è noto, nacque nel IX secolo per impulso di Leone V di Bisanzio, promotore di una fiera lotta finalizzata a combattere quelle che definiva due piaghe della fede del tempo: l’iconodulia e l’iconolatria. L’iconodulia era propriamente l’attaccamento dei fedeli all’immagine che rappresentava il sacro – doulía significa “schiavitù”, “asservimento” – mentre l’iconolatria era l’adorazione delle immagini sacre (latréuō significa, infatti, “adorare”), un termine in qualche modo sinonimo di “idolatria”. La lotta iconoclasta ebbe ufficialmente fine con il sinodo indetto dall’imperatrice Teodora di Bisanzio nell’843, allorquando fu reintrodotta la liceità del culto delle immagini. Ma l’iconoclastia sopravvisse – e sopravvive – in altre forme anche al di fuori delle eresie del cristianesimo: iconoclasti furono Zwingli e Calvino, come del resto tutte quelle religioni che vietavano, secondo lo spirito dell’ortodossia specifica, la rappresentazione del divino. Ma c’è di più: l’iconoclastia esistette prima della lotta iconoclasta: iconoclasta era stato, infatti, il patriarca Mosè, quando abbatté l’idolo del vitello d’oro incautamente adorato dal suo popolo.

Insomma, ovunque esistesse una forma d’idolatria, complementarmente si sviluppava una tendenza iconoclasta, ortodossa o eterodossa che fosse. Non stupisce, quindi, che anche una parte dell’islam abbia abbracciato una cultura avversa alla rappresentazione del sacro: colpisce, e forse spaventa anche, che l’iconoclastia nella storia si sia manifestata anche come instrumentum regni, cioè come uno strumento politico di potere e di pressione psicologica a livello propagandistico. Lo sapevano bene gli antichi Romani, che furono iconoclasti loro malgrado: la damnatio memorie, infatti, veniva applicata per eliminare il ricordo dei cosiddetti “nemici pubblici”, e spesso colpiva le opere d’arte, i monumenti e i loro dedicatari. Vae victis!, “Guai ai vinti”, avrebbe detto il capo gallico Brenno, calcando il suo tallone vittorioso sui Romani sconfitti.

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