Oggi, la storia

Il pianto di Scipione

di Emilio Gentile

  • 21.04.2016, 09:05
Cartagine

Le rovine di Cartagine, situate nell'odierna Tunisi

  • iStock

Oggi, la storia
Giovedì 21 aprile 2016 - 07:05

Lo storico Marco Terenzio Varrone, vissuto nel I secolo a.C., datò la nascita di Roma al 21 aprile 753 a.C. Nella mitologia romana, il fondatore era stato Romolo, figlio del dio Marte e di una vestale. La data di Varrone è stata contestata dagli storici fino alla fine del secolo scorso, quando nuove ricerche sul Palatino hanno scoperto reperti archeologici, risalenti all’VIII secolo a.C. che confermerebbero la data e forse la storicità di Romolo. Dalla città sui sette colli sorse uno dei più grandi imperi della storia, che all’epoca della massima espansione aveva un’estensione di 5 milioni di chilometri quadrati, con circa 70 milioni di abitanti.

La fine dell’impero romano è convenzionalmente datata al 476 d.C. quando i barbari invasori deposero l’ultimo imperatore, il diciassettenne Romolo Augustolo. Cinque secoli prima, lo storico Polibio, un greco deportato a Roma nel 166 a.C. e divenuto amico della autorevole famiglia degli Scipioni, aveva accompagnato in Africa Scipione Emiliano durante la terza guerra punica contro Cartagine, la grande rivale di Roma per il dominio del Mediterraneo. Nel 146 a.C. i romani vinsero e Cartagine fu rasa al suolo. Polibio narra che Scipione pianse sulle rovine della città nemica, pensando come “la sorte di città, popoli, domini, muti al pari del destino degli uomini: così era accaduto a Ilio, città una volta potente, così era accaduto ai regni degli Assiri, dei Medi e dei Persiani, che erano stati grandissimi ai loro tempi”.

Polibio era stato maestro di Scipione e gli poteva parlare liberamente, perciò gli chiese il motivo del suo pianto. E allora Scipione, “senza reticenze, nominò la sua patria, per la quale temeva riflettendo sul destino degli uomini”. Piangendo sulle rovine di Cartagine, Scipione piangeva sulla futura rovina di Roma. Forse suggestionato dal pianto di Scipione, nella sua storia dell’ascesa imperiale di Roma, Polibio teorizzò la fine inevitabile d’ogni Stato, anche il più possente, al pari d’ogni destino umano: “non occorre un lungo ragionamento – affermò lo storico – per dimostrare che a tutti gli esseri incombe il mutamento e la distruzione, poiché la necessità naturale ce lo mostra a sufficienza”.

Per oltre due millenni dopo la fine dell’impero romano, nella cultura occidentale, erede della civiltà romana, il mito di Roma è stato associato alla sua grandezza imperiale. Invece, dalla fine della Grande Guerra ai giorni nostri, è il pianto di Scipione che spesso risuona nelle previsioni sul destino della civiltà occidentale.

Ti potrebbe interessare