Oggi, la storia
Venerdì 09 ottobre 2015 - 07:05
Mancano pochi giorni alla chiusura di Expo, e il padiglione Svizzera trarrà un bilancio dal cosiddetto “esperimento delle quattro torri” (riempite, rispettivamente, di caffè, mele, acqua e sale): ad esse il pubblico dei visitatori ha avuto libero accesso e ha potuto liberamente attingere ai prodotti contenuti, dimostrando una netta preferenza per le mele e per l’acqua, e un interesse decisamente minore per il caffè e per il sale. Quest’ultimo – il sale –, il prodotto meno caro e più diffuso, è quello che merita una particolare attenzione.
Considerato oggi un “condimento” a buon prezzo da consumare con moderazione per ragioni igienico-sanitarie, nell’antichità greca e romana era invece piuttosto costoso, ed era ritenuto prezioso per insaporire le pietanze, per conservare i cibi, ma anche per realizzare alcuni rimedi diffusi nella farmacopea antica. Che i Romani dessero un’importanza particolare al commercio del sale è noto soprattutto dalla lastricazione della via salaria, una via consolare – l’attuale SS 4 – tracciata tra Roma e Porto d’Ascoli, sul Mare Adriatico, principalmente per questo scopo: l’approvvigionamento di sale per l’Urbe. Utile ma non assolutamente indispensabile alla preparazione dei cibi, il sale serviva essenzialmente a dare sapore: il termine “sale” deriva dal greco antico hals (ἅλς, poi passato nel latino sal e salsus) che significava sia “mare” sia “sale”, se usato al singolare, mentre indicava, se declinato al plurale, le “facezie” o i “motti salaci”, vale a dire le battute “insaporite con del sale”, le battute argute. Questa forma di traslazione semantica – dal sale del mare alla sapidità di un motto – è ben attestata anche nel latino, seppure in un ambito differente: recano infatti traccia della radice di sal anche le parole salus (“salute”, “salvezza”), salubritas (“buona salute”), come anche il saluto tipicamente romano: salve! (lett.: “sii in buona salute”). Ma la traccia del “sale” si trova anche in “salario”, in origine la razione di sale ricevuta dai soldati insieme con i viveri, che però nella lingua odierna indica il sale che insaporisce le nostre fatiche mensili, il premium, lo stipendium. Infine, il medesimo calco è rintracciabile nel termine “sapienza”, il cui significato attinge al verbo sàpere (“avere sale”, “aver sapore”). Insomma, per dirla con il poeta libanese Khalil Gibran: «ci dev’essere qualcosa di stranamente sacro nel sale. Lo ritroviamo nelle nostre lacrime e nel mare».
Interessantissima, dunque, questa campagna di sensibilizzazione elvetica in “salsa” Expo: come a dire… «Non sprecate il cibo e abbiate… sale in zucca»!